domenica 28 settembre 2014

VIAGGIO A ISCA



La mattina di domenica 11 maggio 1947 la terra, preceduta da boati spaventosi, tremò ripetutamente nei paesi attorno a Isca sullo Ionio. Sant'Andrea e Badolato ebbero gravi danni e Isca, epicentro del terremoto, fu quasi disintegrata. Il terremoto finì dopo alcuni giorni e mio nonno materno Bruno, da poco ritornato dall'America, mi disse che saremmo andati a Isca per il matrimonio di una giovane della famiglia do Rizzu, figlia di un suo amico ischitano conosciuto a Canton, Ohio. Io avevo sei anni e di buon mattino lasciammo Sant'Andrea prendendo il viottolo che iniziava dalla curva di Riggina e portava verso Isca passando davanti alla chiesa della Madonna Assunta di Campo. La parola Riggina, ancora in uso, è un ricordo dell’antica strada romana che portava a Reggio.
Nonno Bruno si fermò a pregare davanti alla chiesetta dell’Assunta e poi continuammo verso la fiumara di Saluro, che segna il limite tra i due paesi. Le insegne stradali portano Salubro invece di Saluro, ma è una corruzione. La parola Saluro indica le saline naturali che si formavano alla foce del fiume: salina in greco si dice alìki, da cui deriva il termine Alaca dato all'altro fiume a nord di Sant'Andrea. In una mappa del Milleseicento, mostratami dall'esimio amico Marziale Mirarchi, Saluro è segnato come Saliero.
Questa corruzione di nomi di fiumi, derivanti dal greco o altre lingue arcaiche, è un fenomeno abbastanza frequente in Calabria. Per esempio, il fiume Ancinale, alle porte di Soverato, deriva da Lacinale, e difatti scende dal bosco della Lacina, e l’Amato, che va verso Lamezia, deriva da Làmeto.

Arrivati a Isca, andammo per le viuzze del paese tra case semidistrutte e fummo poi ricevuti cordialmente dalla famiglia amica. Le nozze erano avvenute giorni prima, e quel giorno era dedicato alla raccolta dei regali che amici e parenti portavano agli sposi. I regali allora erano quasi tutti in natura: grano, olio, polli, formaggi e anche nonno Bruno diede il suo. La casa dove gli sposi ricevevano aveva tutti i muri, anche se lesionati. Nonno Bruno volle poi visitare la chiesa, dedicata a San Marziale, senza tetto perché crollato. I santi guardavano dalle nicchie inondate dal sole che entrava dal tetto, e sembrava volessero chiudere gli occhi perché non erano abituati a tanta luce.
Chiesi dubbioso:
-        E’ qui che avete celebrato il matrimonio?
-        Certo, risposero, questa è sempre la chiesa!
Poi la madre della sposa ci accompagnò a un’altra casa, che mancava totalmente di un muro, dove erano conservati dolci e confetti. Ne fece un cartoccio per noi e chiuse la porta con una grande chiave di ferro. A me sembrò inutile chiudere a chiave una casa senza muro, e lo dissi alla donna che ribatté:
-        La casa è sempre la casa!
Tornammo poi verso Sant'Andrea, alta sulle colline che scendevano precipiti verso Saluro.

A più di sessanta anni di distanza da quel viaggio, recentemente ho sognato più volte di ritornare a piedi a Isca, e nel sogno avveniva così. Lasciavo Sant'Andrea e scendevo verso il fiume Saluro, attraversavo il greto asciutto della fiumara e mi dirigevo verso Isca, nascosta tra colline azzurre. Poi arrivavo a una casa con un giardino fiorito e lì provavo una grande felicità.

Quel sogno si è avverato una sera di agosto 2014, quando fui ospite, assieme a mia figlia Gabriella venuta dalla Florida, di Enzo Marascio e di sua moglie Marisa Buffetta nella loro villa di Isca. Cenammo tutti insieme nel giardino e mangiammo pietanze vegetariane, preparate con muscolo di grano, ragionando di un mondo senza spargimento di sangue e senza violenza.

                                                                                   Salvatore Mongiardo

28 settembre 2014

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