giovedì 22 settembre 2011

Origini magnogreche di Sant’Andrea Ionio


Origini magnogreche di Sant’Andrea Ionio
Giornata Europea del Patrimonio - 25 settembre 2011
Chiesa della Madonna di Campo

L’incontro di oggi ci sollecita a indagare sulle origini del paese di Sant’Andrea Ionio, che finora si riteneva fosse sorto in marina intorno al Mille, assieme alla chiesa di San Nicola da Cammerota, per opera dei monaci basiliani. A mio modo di vedere, San Nicola è l’ultimo episodio di crescita di Sant’Andrea, che esisteva già dal tempo delle colonie greche. Intanto la stessa Chiesa di Campo è stata fattoria ellenistica del III secolo avanti Cristo, come gli scavi del Gruppo Archeologico Paolo Orsi hanno dimostrato. Inoltre, nelle colline di Isca, a Pètina, ci sono resti magnogreci. Le colline di Soverato hanno chiare tracce dello stesso periodo, per cui sarebbe strano pensare che il territorio di Sant’Andrea sia stato saltato dalla colonizzazione greca.
I seguenti dieci punti spingono verso l’origine magnogreca del nostro paese.

1   In Sant’Andrea la gran parte della popolazione porta il cognome Samà. Non c’è dubbio, come mi confermava il grande e compianto amico Padre Kosmàs del Monte Athos, docente di filologia, che la parola viene da samàios, abitante di Samo in Grecia, isola famosa per la produzione di stoviglie. Difatti si diceva nell’antichità portare vasi a Samo, per indicare un lavoro inutile, perché a Samo si producevano vasi in abbondanza. E Sant’Andrea, dove tutti gli argagnari, i vasai, erano Samà, fino a pochi decenni addietro fu capitale della produzione delle stoviglie, che erano vendute fino a Serra, Guardavalle e Strongoli.

2   Sant’Andrea è l’unico paese in Italia che ha il cognome Còccari: tutti i Còccari di Italia e America vengono da nostro paese. Nell’isola di Samo, a circa 8 km dalla capitale, si trova ancora oggi la cittadina marittima di Kòkkari, come si può vedere in ogni mappa dell’isola.

3  Appena fuori dell’abitato di Sant’Andrea Superiore, c’è la località di Niforìo, che in greco significa nuovo villaggio: nuovo rispetto a cosa? Niforìo ci offre forse il bandolo della matassa con la materia indispensabile per produrre le stoviglie da mettere sul fuoco per cucinare, la creta rossa, il famoso centrùapuddhu, presente in abbondanza nelle vicinanze da Furno a Tralò.

4   Un’altra grande formazione di creta rossa è quella di Briga, a poca distanza dalle calcare per la cottura del vasellame, che in paese erano una ventina agli inizi del 1900. Questi dati lasciano supporre che un abitato, nel VII-VI secolo avanti Cristo, si era sviluppato attorno alla chiesa del Protettore e, in seguito, a Niforìo per ragioni che non conosciamo. Questa ipotesi sembra confermata dalla presenza di altre due chiese vicine a quella del Protettore: quella di Santa Barbara, originariamente di fronte alla fontana e al Calvario, e quella di Santa Caterina d’Alessandria, i cui ruderi sono ancora visibili accanto alle Suore Riparatrici. 

5   Nel 1933 mio padre aprì, tagliandola con la sega, la statua in legno di ulivo di Sant’Andrea per bonificarla. All’interno c’era un piccolo pezzo di pergamena con su scritto 1047: quindi a quella data la chiesa c’era già. San Bruno sarebbe arrivato in Calabria non prima del 1070. La grangia certosina di Tutti i Santi, che segnava in paese il limite della donazione dei Normanni, era accanto ma non era la chiesa di Santa Caterina: quella grangia sarebbe menzionata per la prima volta in un documento di Papa Callisto II del 1121. La festività di Tutti i Santi fu introdotta nella Chiesa cattolica dai certosini, prima non esisteva, e si prestava molto bene a mettere assieme santi e culti greci e latini.

6   Altri elementi fanno pensare alla nascita di Sant’Andrea come piccola colonia magnogreca per la presenza di cognomi come Carchidi, che indica quelli venuti dalla Calcidia: Reggio era colonia fondata da calcidesi. In sostanza si può pensare che ci fu un abitato formato in maggioranza da samesi, ma anche da altri coloni. Si potrebbe anche ipotizzare che i nostri samesi provenissero da Samo vicino a Bovalino, colonia senza dubbio fondata da quelli di Samo di Grecia. Ma a Samo di Calabria, l’ho verificato di persona, non esiste il cognome Samà, mentre esiste un solo Codispoti, molto diffuso invece in Sant’Andrea, che significa padrone di casa.

7  Ci sono tuttavia altri elementi che suggeriscono la derivazione di Sant’Andrea da Samo di Grecia, e sono elementi pitagorici: Pitagora veniva dall’isola di Samo. Il primo è la pietra del fulmine. Pitagora (Porfirio, Vita di Pitagora, cap. 17) fu purificato dalla pietra del fulmine. Gli antichi ritenevano che il fulmine avesse un puntale in pietra che rompeva dove colpiva. Da bambino io ho sentito di un taglialegna, Pietro Aloisio, che portò dalla nostra montagna il cuneo del tuono, una pietra nera a forma di cuore, che il boscaiolo riteneva fosse il puntale del fulmine. Aveva visto un fulmine spaccare un albero, aveva cercato attorno e trovato quella pietra.

8  Ulteriore elemento è la fortissima religiosità degli andreolesi, verosimilmente derivata da Pitagora che sosteneva che al Dio tutto è possibile e nulla al Dio è impossibile: segui Dio! era il suo motto. Quella religiosità, che ho vissuto direttamente nel paese e nella mia famiglia, era come un’aura mistica che tutto avvolgeva e tutto rasserenava in un orizzonte ultraterreno. E non derivava, come alcuni pensano, dai Padri Liguorini. I miei nonni, che vivevano di quella fede, erano già sposati quando i Liguorini iniziarono a operare in paese agli inizi del 1900. Quella religiosità così intensa non si riscontrava nei paesi vicini.

9   Altro indizio può essere considerata la sessuofobia andreolese, nemmeno questa riscontrabile nei paesi vicini, che ha condotto molte donne andreolesi a soffrire di gravi disturbi nervosi, come ho distesamente narrato nei miei libri. I rigidi divieti sessuali, anzi la totale proibizione del sesso salvo la procreazione nel matrimonio, sono di origine pitagorica, non tanto cristiana, come comunemente si pensa. Confluì certamente nel cristianesimo, e si sviluppò soprattutto nel cattolicesimo, ma inizialmente non venne da Cristo, bensì da Pitagora.

10  Sant’Andrea Ionio era abitato ancora prima della Magna Grecia. Le asce di pietra del Neolitico, segnalatemi da Angela Maida ed esposte nel Museo Etnografico Pigorini di Roma, sono indicate come provenienti da Sant’Andrea. A me è giunta notizia di tombe trovate in marina, all’incirca sotto la stazione ferroviaria, esplorate dal marchese Armando Lucifero, archeologo lui stesso e amico del grande archeologo francese François Lenormant, col quale fece diverse indagini sul territorio di Calabria.

Le possibili origini magnogreche di Sant’Andrea ci aiutano a capire in profondità le ragioni della decadenza del Meridione. Difatti, se la mia interpretazione è corretta, si potrebbe dedurre che la decadenza del Sud, non è solo dovuta a fattori politici, ma anche all’abbandono di quella visione alta del destino umano, dalla perdita cioè di quella religiosità.

Queste brevi considerazioni sono un invito a ripensare la nostra origine e a cercare i filoni di pensiero e cultura che noi possediamo come pochi altri posti al mondo. Le indagini archeologiche sono importanti perché portano alla luce gli elementi tangibili che ci permettono di ricostruire la nostra identità, la nostra anima. Un grande plauso e vivo ringraziamento al Gruppo Archeologico Paolo Orsi, che con tanto impegno ricerca le tracce del nostro passato, con l’augurio che possa estendere le sue indagini a tutto il territorio di Sant’Andrea.

                                                                                    Salvatore Mongiardo 

domenica 11 settembre 2011

L’ARMISTIZIO DEL 1943




Lo sbarco degli americani in Sicilia aveva cambiato le sorti della guerra. I tedeschi si ritiravano attraversando la Calabria, e ammassavano armi lungo il torrente Callipari, a pochi chilometri da Sant’Andrea, per opporre resistenza agli americani. Il timore di rimanere coinvolti in una battaglia, spinse molti andreolesi a cercare rifugio fuori paese, e la mia famiglia si trasferì a Tralò, nella casetta di campagna di zio Giovanni Ranieri. I giovani andreolesi sotto le armi erano un numero impressionante: più di cinquecento, come risulta dagli archivi comunali, circa il dieci per cento della popolazione. A Tralò c’erano mio padre, zio Giovanni, molte zie e cugini, una ventina di persone, tra le quali mio cugino Angelo Iorfida. Io avevo allora due anni, ma ricordo tutto, come mio padre, che scherzava sulla sua memoria prodigiosa dicendo: Ricordo pure quando si è sposata mia madre!

La scelta di Tralò non era stata felice. La cima, che si vede a occhio nudo dalla Locride fino alla Presila, è un punto trigonometrico riportato su tutte le mappe militari. Gli aerei americani vi giravano attorno per calcolare la rotta e poi andavano a bombardare i ponti di strada e ferrovia. Il rombo di avvicinamento degli aerei era terrorizzante, mio padre ansimava, io chiedevo un asciugamano per coprire le gambe, perché ero convinto che le bombe me le spezzavano, le donne imploravano a gran voce tutti i santi. Come se non bastasse, c’era anche un gran serpente nero, innocuo ma spaventoso, che strisciava nelle vicinanze della casetta: la zia Nunziata aveva appeso filze di aglio per tenerlo lontano. Zio Giovanni aveva un bosco di castagni in montagna, a Farina, e fu deciso di trasferirci lì. Mio padre fece costruire in fretta dai carbonai un gran capanno di frasche ben fitte, con il tetto in terra battuta per resistere alle piogge, e pagò una cifra enorme: diecimila lire!

Era l’inizio di agosto e ci muovemmo verso Farina, dove il numero di persone  aumentò con l’aggiunta di altri parenti. Mia madre, anche se incinta al nono mese, portava una sporta sulla testa, io camminavo tenuto per mano dalla zia Mariuzza. Anna mia sorella, che aveva quattro anni, portava una gallina. A Farina, accanto al capanno, c’era una capannina, dove stava il suocero di zio Giovanni, Peppe lo Zasso, anziano e sempre coricato. All’inizio io avevo paura di quel vecchio, coperto di un lenzuolo bianco, che però mi prese a benvolere e mi insegnava le filastrocche:

Na vota era Carota
Chi facìa cozzetta e vota
Sa masurava e non li jìa,
Jestimava a morta chi on venìa.

Oppure:
Ara ruga do Ferraru
Ci stannu tri infantini:
Mara Rosa, Cuncipita e Catarini.

O ancora:
E mo’ chi ti vivisti
Tuttu u vinu da caseddha
Attàccati a sta ciarameddha!

Intanto, il 22 agosto del 1943, mia madre cominciò ad avere le doglie del parto, e mio padre mandò mio cugino Angelo a chiamare in paese il medico Pietro Voci. Per convincerlo a quella trasferta, ci volle l’asino di Gerardo Ramogida, ma il medico si rifiutò di salire sul duro basto, e mandò Angelo dai Padri Liguorini per farsi prestare la sella da donna. I Padri, quando andavano in missione nei paesi sperduti, usavano quella sella perché la sottana gli impediva di cavalcare come i maschi. Le ore passavano, e quando il medico arrivò, trovò una bella bimba che vagiva, Caterina. Il numero era cresciuto, eravamo trentadue, anzi trentatré contando anche Bianchina, la capra maltese. Al medico Voci piacque quel posto e vi rimase diversi giorni, attirato dalle soppressate e dal vino buono, facendo però preoccupare mio padre per la bocca in più da sfamare. Il medico ricambiò l’ospitalità con una astuzia. Sull’atto di nascita fece scrivere: Nata in località Farina, dove i genitori si trovavano a villeggiare. Il medico spiegò che era un accorgimento utile se la bimba, da grande, avesse dovuto sposare un forestiero: non era necessario dovergli dire che era nata sotto gli alberi! Non andò così, e Caterina sposò il medico andreolese Andrea Armogida.
Una notte una voce di uomo echeggiò ripetutamente nella vallata: Mastru Vicenzinu! Qualcuno chiamava mio padre, le zie raccomandarono di stare zitti e spensero la lanterna a olio. Poteva essere un traditore che voleva scovare i fuggiaschi per segnalarli ai tedeschi!
Mio padre si fece coraggio e gridò: Chi sei?
L’uomo rispose: Sono il figlio di Mannagajjha! – soprannome di una famiglia andreolese.
Mio padre: Cosa vuoi?
L’uomo: La guerra è finita, l’abbiamo sentito alla radio!
Mio padre: Abbiamo vinto?
L’eco faceva: o-o…
L’uomo: No, armistizio incondizionato!
L’eco: o-o…
Mio padre: E vaffanculo!
L’eco: o-o…
Guerra e pace, vincere e perdere, erano cose degli uomini che l’eco non capiva. Per l’eco, quella notte dell’8 settembre del 1943, tutto finiva con un o-o.
                                                                    
                                                                                        
                                                                                         Salvatore Mongiardo