Nel 1935 fu completato l’acquedotto comunale di Sant’Andrea che portava l’acqua dalla montagna alle fontane pubbliche del paese. Un lavoro enorme che durò circa tre anni e al quale mio padre, mastro Vicenzino, partecipò per tutte le opere di ferramenta, saldatura, perforatura e giuntura di tubi. L’ingegner Varano di Isca, che dirigeva i lavori, rimase colpito dall’abilità di mio padre e scrisse una lettera al Comune per raccomandarne la sua nomina a fontaniere, come difatti avvenne. Mio padre ogni mattino alle cinque faceva l’ispezione del serbatoio poco fuori paese per controllare che tutto funzionasse. Continuava comunque anche il lavoro alla forgia che aveva ereditato dal padre, morto quando lui aveva solo quattordici anni. Uno dei lavori più delicati del forgiaro era ferrare l’asino. In quell’epoca in paese c’erano circa centoventi asini, dei quali mio padre ne ferrava una novantina. I padroni degli asini si rivolgevano a lui non solo per la sua abilità, ma anche per la sua velocità. Lui metteva nella fucina quattro pezzi di ferro piatto lunghi circa trenta centimetri, li scaldava fino a farli diventare rossi, prima da una parte e poi dall’altra, gli dava la forma di ferro d’asino battendoli col martello sull’incudine e faceva poi sei fori su ognuno, tre per parte. Poi li inchiodava allo zoccolo e, orologio alla mano, era passata solo un’ora da quando aveva messo i ferri a scaldare! Quella sua maestria era diventata leggendaria tanto che alcuni fabbri dei paesi vicini venivano a Sant’Andrea per assistere alla ferratura e controllare se il tutto avveniva in un’ora.
Intorno al 1937 il Nigrello, al secolo Francesco Nesticò, comprò alla fiera un puledro d’asino così bello che non si era mai visto l’uguale, e lo portò a mio padre per la prima ferratura. I ferri duravano in genere sei mesi e si consumavano su viottoli, sentieri e soprattutto sull’impietrata, la strada selciata. Dopo due settimane il Nigrello si fermò con il puledro davanti alla forgia e mostrò i ferri del puledro. Mio padre guardò allibito: erano tutti e quattro consumati solo da un lato, una cosa molto strana… In breve, gli rifece i ferri e glieli rimise. Due settimane dopo la scena si ripeté, il puledro aveva di nuovo i ferri consumati dallo stesso lato.
Mio padre non sapeva darsi una spiegazione ed era il tipo di persona che non trovava pace finché non risolveva un problema. Una curiosità fortissima che mi ha trasmesso. Lui però si limitava al suo mondo fatto di campagne, asini e contadini, cose semplici e tangibili. Io cerco giorno dopo giorno spiegazioni sulla vita, la morte, l’essenza dell’essere: tutte cose inafferrabili, complicate e che non hanno mai una soluzione definitiva.
Accadde allora che una notte piovve molto e i viottoli di campagna furono a tratti coperti da terra scivolata dai lati. Così successe al viottolo che portava al serbatoio, dove mio padre incontrò un monticello di terra e, per passare senza scivolare, mise istintivamente i piedi inclinati verso monte. Al ritorno notò l’impronta che lui stesso aveva lasciato prima, e notò che era inclinata da una parte! Capì all’improvviso che qualcosa obbligava il puledro a piegare le zampe e andò a bussare a casa del Nigrello, lo tirò giù dal letto e gli disse che voleva vedere dove dormiva il puledro. Il Nigrello aprì la porta del basso e notarono che il pavimento di terra, sul quale il puledro era sdraiato, aveva una roccia affiorante proprio dove poggiava le zampe, che si piegavano per adattarsi a quella prominenza. Mio padre afferrò un piccone, pareggiò il pavimento, e da allora il puledro crebbe con gli zoccoli diritti e consumò i ferri come tutti gli altri asini.
Dicembre 2010 Salvatore Mongiardo