martedì 22 dicembre 2009

CHI E' DIO-LA TEORIA EMOZIONALE

Scritto per l’incontro tra amici in casa di Antonella e Renato Ali Seminara
Milano San Felice, 21 novembre 2009
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Chi è Dio?

Cari Amici,
L’argomento di questa sera mi è stato suggerito da Ernesto, che più di una volta mi ha detto che aveva cominciato a scrivere, ma era riuscito a scrivere una sola parola: Dio, e non era andato avanti. Io sono riuscito a scrivere un po’ di più, e sono felice di darvi l’idea che mi sono fatta di Dio lungo tutto il corso della mia vita. Non intendo obbligare o sollecitare nessuno a pensarla come me, né tantomeno convertire e nemmeno convincere. Semplicemente vi dico quello che a me, oggi, sembra la cosa più sensata che si possa dire di Dio. E questo lo faccio con libertà di spirito e cuore sincero.
Parlare di Dio vuol dire automaticamente parlare di filosofia e di religioni, e perciò dobbiamo fare un percorso necessariamente veloce e sommario, per vedere come il problema di Dio è stato affrontato nella storia.
Il sesto secolo avanti Cristo viene definito il secolo assiale, cioè l’asse della storia, perché nacquero personalità del calibro di Pitagora, Jain, Zaratustra, Lao Tse, Confucio. E ai piedi dell’Himalaya, a Lumbini, oggi Nepal, nacque un principe che fu bellissimo, grande atleta, genio della matematica, formidabile tiratore con l’arco, Siddarta, erede al trono del padre re Suddodana. Una notte Siddarta si alza, lascia il palazzo, la bellissima moglie Jasodara, il figlioletto Rahula, e se ne va nei boschi cercando la liberazione. Quando sarà diventato il Risvegliato, il Buddha, spiegherà ai suoi monaci che è inutile porsi il problema di Dio perché se si chiede chi ha creato Dio, la risposta è: nessuno. Allora, conclude Budda, vuol dire che il problema di Dio è un nonsenso che distrae l’uomo dal suo vero compito: liberarsi dal dolore dell’esistenza.
Per i greci invece, Giove era padre degli dei e degli uomini e con gli altri dèi stava sull’Olimpo. Gli dèi erano sempre giovani, belli e immortali, avevano tutte le passioni degli uomini, ma erano indifferenti alle loro vicende. Gradivano però i sacrifici e sulla terra si costruivano in loro onore templi bellissimi e costosissimi. Alla morte gli uomini scendevano però sottoterra nell’Ade, il regno di Plutone, buio, triste e sconsolato. Il filosofo Platone non accetta quegli dèi e sviluppa il concetto di demiurgo, artefice e padre dell'universo, forza ordinatrice, plasmatrice, che trasforma, ma non crea.
Arriva poi Aristotele, allievo di Platone, che definisce Dio non come persona, ma come motore immobile, o causa delle cause, puro atto e non potenza, forma e non materia. Quando Cicerone fu raggiunto dai sicari di Marco Antonio, prima di venire decapitato invocò: Causa causarum, miserere mei! Causa delle cause, abbi pietà di me. A noi, abituati all’idea di un Dio persona, può sembrare strano morire invocando pietà in quel modo, eppure è successo proprio così.
Ci fu un grande uomo, Alessandro Magno, allievo di Aristotele e quindi a conoscenza di tutte le sottigliezze della filosofia, che evidentemente non era molto convinto delle spiegazioni del suo maestro. Alessandro era terribilmente preso dal problema di Dio. La madre Olimpiade, figlia di un sacerdote, gli aveva raccontato che, prima che lui nascesse, aveva sognato di partorire un grande serpente che mangiava tutti gli altri serpenti. Filippo, il padre, aveva messo in dubbio la sua paternità e la madre lo rassicurava dicendogli che lui era figlio di un dio. Alessandro si rasserenò solo quando si recò al tempio di Giove Ammone, nell’oasi di Siwa in Egitto, ed ebbe assicurazioni ripetute dai sacerdoti che lui era figlio di Giove. Cosa altro potevano dire i sacerdoti sapendo che l’esercito di Alessandro era lì a due passi?
Con l’avvento del cristianesimo si diffondeva intanto nell’occidente la conoscenza del Dio della Bibbia, Jhavè, creatore dal nulla di tutte le cose, eterno, onnisciente, onnipotente, misericordioso e padre amante degli uomini. Con questo Dio Padre si identificò completamente Gesù: Chi ha visto me ha visto il Padre, chi conosce me conosce il Padre. Ma Gesù va ben oltre l’identificazione col Padre: si avventura nei territori della morte e torna risuscitato. A chi crede in lui promette la vita eterna nel paradiso: Se credi in me, anche se sei morto, vivrai. Gesù inventa così l’immortalità del corpo: quella dell’anima era già prevista dalla Bibbia e da Pitagora.
E’ da sottolineare a questo punto un contrasto molto forte. Per il mondo orientale, induista e buddista, la vita è male: non rinascere, non reincarnarsi è la grande aspirazione. Per il mondo occidentale, al contrario, vivere o risorgere è la massima aspirazione. Siamo cioè all’opposto: per l’oriente c’è la paura della vita, per l’occidente la paura della morte.
Intorno al 200 dopo Cristo si afferma a Roma la dottrina di Plotino, il filosofo neoplatonico che esclude che Dio sia una persona e costruisce la sua cosmologia, impressionante ancora oggi per la sua maestosità. Per Plotino esiste il cosmo che ha un ciclo eterno e immutabile, l’anno cosmico, sempre identico senza che nulla possa cambiare minimamente. Il ciclo finisce con l’ecpirosi, la conflagrazione universale nel fuoco; poi, con la palingenesi, ricomincia un nuovo ciclo identico ai precedenti. Cioè io, la mia vita, il mio scrivere, l’incontro di questa sera, si ripetono per ogni anno cosmico esattamente allo stesso modo con una fissità angosciante. Questa teoria deriva molto probabilmente dalla dottrina orientale del samsara, la ruota della vita che obbliga a tante penose reincarnazioni. Plotino trova appassionati seguaci, generalmente molto colti. Nel frattempo però avanza Gesù che ha spezzato il ciclo del tempo ripetitivo. La vita del credente ha inizio sulla terra ma poi termina in lui per l’eternità: il tempo lineare dalla terra al cielo è la vera, grande rivoluzione culturale del cristianesimo.
Facciamo un salto in avanti fino al Medioevo e a San Tommaso D’Aquino, che diede una sistemazione poderosa di tutta la problematica di Dio, legando assieme filosofia e teologia, il motore immobile di Aristotele e il Dio della Bibbia che crea dal nulla. Questo schema, che dura ancora oggi nella Chiesa cattolica, è proiettato sullo sfondo del cosmo come lo aveva sistemato Tolomeo, con la terra al centro dell’universo, i pianeti e il sole che le girano attorno, e il decimo cielo delle stelle fisse. San Tommaso però aveva con Dio, con Gesù, un rapporto fortissimo che gli fece comporre poesie d’amore ardente come il Pange lingua, Ave verum, Lauda Sion. E spesso passava la notte pregando in chiesa davanti al tabernacolo. San Tommaso è forse il più bell’esempio di personalità sdoppiata: da un lato, un dotto assetato di conoscenza che non rinuncia alle conquiste del sapere; dall’altro un mistico capace di slanci così intensi che lasciano ancora oggi stupiti. Questo sembra confermare che la conoscenza razionale pura non convince molto quando si tratta di Dio, la conoscenza o adesione a Lui è un fatto essenzialmente emotivo.
Questa ricostruzione del Dio attraverso la storia è molto sommaria e grezza: su Dio si è dibattuto e scritto come su nessun altro argomento. Nessuno sa quanti libri sono stati scritti e soprattutto quante menti, semplici o preparate, si sono occupate dell’argomento. Questo prova inconfutabilmente che il problema di Dio è ben lontano dall’essere risolto.
Succede però l’imprevisto. Nel Rinascimento, due tra i massimi geni italiani, sfasciano la poderosa sistemazione di San Tommaso e del cosmo di Tolomeo. Giordano Bruno scrive che l’universo è popolato da mondi infiniti di forma sferica, come i pitagorici avevano insegnato, e che la Bibbia racconta molte cose non credibili. La chiesa gli regola il conto bruciandolo vivo in Campo dei Fiori a Roma. Ma la scoperta che non lascia dubbi viene da Galileo e dal suo cannocchiale. Anche se vedo con i miei occhi il sole girare attorno alla terra, è la terra che gira attorno al sole, afferma Galileo. La Chiesa, che deteneva il monopolio della verità, si sentì attaccata e condannò Galileo. Si consumò allora il divorzio tra scienza e fede cattolica, che dura ancora oggi e che non è sanabile, perché la chiesa preferisce un sistema di definizioni, mentre la scienza smantella tutte le definizioni con la verifica sperimentale: usano cioè due metodi inconciliabili tra di loro.
Nel 1924 l’americano Edwin Hubble scopre che le nebulose non erano nuvole interstellari ma galassie. Fino allora si conosceva solo la nostra galassia; oggi, con le recenti scoperte, si parla di centinaia di miliardi di galassie, di buchi neri, di un universo in continua espansione, di scontri tra galassie che nascono e muoiono. Una visione esaltante, ma anche terrorizzante, per noi che abbiamo ancora in mente i punti di riferimento tradizionali.
La scienza attuale ci dice una cosa che forse non viene considerata con la dovuta attenzione: gli atomi di tutto l’universo derivano dal Big Bang, lo scoppio primordiale, teorizzato dal belga Georges Lemaitre, prete cattolico e fisico, al quale il pur grandissimo Einstein mai volle credere, e si sbagliò. Senza ombra di dubbio la scienza afferma che gli atomi del nostro corpo, quindi i capelli, il cuore, gli occhi, tutto quanto vediamo o tocchiamo derivano da quell’esplosione primordiale di circa 14 miliardi di anni fa. Sulla Terra poi, circa mezzo milione di anni fa, dal mare sarebbero venute le prime forme di vita, un fenomeno così unico che gli scienziati definiscono la vita con la parola singularity, un fatto senza uguali.
Nella scala dei viventi gli uomini hanno non solo la facoltà della ragione, ma anche la capacità emotiva: reagiscono a fatti e situazioni con moti dell’animo, in una parola, le emozioni. Noi tutti conosciamo la paura, l’angoscia, l’odio, l’amore, la speranza, l’ira, il desiderio, lo scoraggiamento, le passioni, tutto il corredo emotivo del quale ognuno di noi è fornito in varia misura.
Secondo me le emozioni non sono state valutate finora come meritavano: sono loro che determinano il comportamento di ognuno di noi, e quindi la vita intera. Le emozioni avvolgono le famiglie, le città, le nazioni con quella che ho già chiamato patosfera, da pathos o passione. Tutta la storia del mondo si è svolta perché dominava una certa passione su altre: la sete di conquista nelle guerre, il desiderio di conoscere per gli esploratori, la speranza di salvezza per gli eremiti, e così via.
A questo punto però dobbiamo chiarire cosa hanno da vedere le emozioni con il discorso iniziato su Dio. La mia risposta al quesito comincia con l’affermazione che la parte più delicata del cosmo sono le umane emozioni, queste miracolose increspature dell’anima, che cambiano continuamente e che possono trasformarsi in un attimo da liete a tristi, da speranzose ad angosciate, da amabili ad irose. In altre parole, le galassie nascono, vanno per lo spazio e girano per produrre dentro di noi un’emozione: di tutto l’universo le emozioni sono il frutto più pregiato. Quindi, non è più l’uomo che guarda nella sua piccolezza l’universo sterminato, ma è l’universo che si rivela attraverso l’uomo e le sue emozioni.
Tutte le religioni, pur diverse tra loro, vengono comprese meglio se le guardiamo dal punto di vista emotivo. Mi spiego meglio. Budda aspira a staccarsi dal desiderio per entrare nello stato di quiete, il nirvana: esprime cioè il bisogno di eliminare l’emozione dolore. Gesù promette la vita eterna: esprime il bisogno di eliminare l’emozione paura della morte. Maometto, promette un paradiso di acque e verdi piante: esprime il bisogno di refrigerio dalle sabbie infuocate del deserto. I fondatori delle grandi religioni, cioè, vogliono venire a capo dell’emozione collettiva che più pesa sui loro popoli. E per quello hanno avuto tanto seguito.
Manca però, secondo me, una mappatura emotiva dei popoli nelle varie etnie e culture. Questa mappa potrebbe spiegare fenomeni ancora incomprensibili. Un solo esempio, facile da capire per noi cristiani: paradiso e inferno. Se il cristiano si comporta bene, va in paradiso dove non soffre più, ma c’è solo gioia. Se si comporta male, va all’inferno dove soffre terribilmente. Gioia e sofferenza però sono sempre e comunque due situazioni emotive. La Divina Commedia ci rappresenta, con il genio di Dante, le varie situazioni emotive: quelle brutte e sgradevoli, vengono lasciate nell’Inferno, quelle così così vengono sistemate nel Purgatorio, quelle più belle, e soprattutto l’amore, sono esaltate nel Paradiso. Il Dio di Dante, l’Amor che move il sole e l’altre stelle, è un dispensatore di emozioni gradevoli o cattive, ma di più non può fare. Se per un attimo volgiamo lo sguardo ad oriente, ci accorgiamo che lo stesso nirvana di Budda altro non è che l’annullamento di tutte le emozioni e quindi si gira sempre attorno alle emozioni.
Questa teoria, che io chiamerei Teoria Emozionale, consente di ipotizzare che lo spirito di Dio, che vivifica l’universo, altro non è che l’umana carne. Anche il mistero dell’incarnazione di Dio si comprende meglio alla luce di questa teoria. Dio, prendendo umana carne, assume capacità emotiva, e le distanze tra noi e Lui vengono colmate. Ma ci sono anche altri due problemi che da sempre attanagliano l’uomo: la felicità e la morte. Vediamo se possiamo capirli meglio con l’indagine emotiva.
La felicità è irraggiungibile, di questo siamo tutti convinti, ma non ci sappiamo spiegare il perché; diamo la colpa ora a noi stessi, ora agli altri, e sprechiamo la vita in rimpianti. Secondo la Teoria Emozionale la vita non è fatta per la felicità, ma per avere le più varie esperienze emotive che portano alla presa di coscienza. In una parte del cielo c’è la fascia degli asteroidi e l’attraversamento di questa fascia provoca attriti a non finire. Similmente, la vita è l’attraversamento della patosfera e tutti gli impatti emotivi, lieti o dolorosi, sono utili alla presa di coscienza.
La morte è forse la massima emozione negativa e da sempre spaventa tutti. Né si vede come si possa superare la morte. Nemmeno le religioni che promettono l’immortalità evitano la morte: prima bisogna morire. Ma forse è meglio che vi racconti la mia visita del tofet di Cartagine in Tunisia. Il tofet è il cimitero dei bimbi, coperto di stele di pietra; dietro ogni stele si poneva in un incavo una pentola di coccio con gli ossicini dei bambini arsi vivi. Erano i genitori, papà e mamma, a bruciare vivi il primogenito in occasione di un’eclissi di sole. Offrivano al dio Baal quel terribile olocausto perché il sole tornasse a splendere. Oggi l’eclissi di sole si ripete identica ad allora, ma noi la guardiamo senza alcuna paura. E’ questo il punto: non è finito il fenomeno, ma è finita la paura del fenomeno. Così sarà per la morte, che ci sarà sempre, ma la paura della morte finirà quando saranno capiti i suoi meccanismi sui quali la scienza non ha indagato a fondo.
Dalle stelle ci viene come un invito a guardare in questa direzione. Quando nasce una supernova in realtà non è la nascita di una stella, come si era creduto in passato, ma la sua morte che viene accompagnata dal massimo splendore prima del collassamento. Sembrerebbe che le stelle ci indichino che la morte è il momento della massima luce quando tutta la vita ci appare, alla fine del percorso emotivo, come pura coscienza e conoscenza.
Preziose indicazioni per chiarire il problema di Dio vengono anche da un ambito poco indagato: la poesia, la grande poesia italiana. Prendiamo quello che a me sembra il più grande italiano di tutti i tempi, Giacomo Leopardi. Incompreso, malato, pezzente quasi, non piegò mai il capo, vide tutto l’orrore della sua vita e seppe cantarla come nessun altro. Leopardi compose il Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, che comincia così:
Che fai tu luna in ciel?dimmi, che fai, /silenziosa luna? /Sorgi la sera e vai, /contemplando i deserti;/ indi ti posi.
Leopardi, squassato da tempeste emotive, non sa con chi parlare e si rivolge alla luna che incombeva sul palazzo di Recanati. Il poeta ha così reso chiaro che la luna, e le stelle e tutti gli astri del firmamento esistono, ma non lo sanno. Ma lui, il poeta sfortunato, lo sa e ne prende coscienza sotto la spinta emotiva. Nella chiusa del Canto notturno poi, Leopardi acquista piena coscienza della sua vita sconsolata e capisce che è umanamente impossibile essere felici:
Forse s’avess’io l’ale/da volar su le nubi, /e noverar le stelle ad una ad una /più felice sarei, dolce mia greggia, /più felice sarei, candida luna. /O forse erra dal vero, /mirando all’altrui sorte, il mio pensiero.
Ci fu un altro grande poeta italiano, oggi non più di moda, che ebbe onori e gloria fino a diventare poeta alla corte dell’imperatore d’Austria, Pietro Metastasio. Egli scrisse la famosa poesia:
Ovunque il guardo io giro/Immenso Iddio ti vedo/Nell’opre tue ti ammiro/Ti riconosco in me.
Metastasio guarda la volta celeste e ammira le stelle, ma riconosce Dio dentro di sé, cioè nell’atto stesso di presa di coscienza. Ed ha espresso il Dio che sta nella coscienza individuale ancora più chiaramente con questi altri semplici versi:
Se vuoi vedere Iddio/guardalo in ogni oggetto/ cercalo nel tuo petto/ lo troverai in te.
Guardando alla storia del problema di Dio, si rimane mortificati di fronte all’incapacità di risolverlo in maniera convincente, nonostante gli sforzi fatti da persone in buona fede e da intelletti tra i migliori di ogni epoca. Questo sembra indicare che tutti gli approcci furono rivolti, almeno in parte, nella direzione sbagliata. A questo si aggiunge che spesso le religioni, con la pretesa di possedere la verità, hanno generato dal loro seno bestialità inaudite come la Santa Inquisizione, per limitarci a un solo esempio. Anche se sono passati tanti secoli, mi sembra doveroso elogiare la saggezza di Simmaco, prefetto di Roma, che scrisse all’intollerante Sant’Ambrogio, a proposito di Dio: attraverso un unico percorso non si può pervenire a un mistero tanto grande.

Un’ottima pietra di paragone del problema di Dio è la sessualità, di fronte alla quale tutte le religioni hanno fallito. La sessualità è grande dispensatrice di emozioni, ma finora è stata demonizzata, o vissuta solo come strumento di procreazione, o praticata in modo sconveniente. Liberare la persona umana vuol dire anche scoprire le formidabili emozioni sessuali che devono poter fluire invece di rimare bloccate da paure e tabù. Le angosce sessuali, assieme alle angosce religiose, sono le più terribili per ogni persona. Le visite ai siti porno fatte via internet in tutto il mondo si calcolano in centinaia di milioni al giorno. Questo significa che la terra è diventata un pianeta psichiatrico percorso da uragani sessuali. A questo proposito mi piace ricordare e ringraziare Freud, che più di ogni altro ci ha aiutato.

Siamo in vista del Natale e penso a Gesù che nasce in una grotta perché nessuno lo accoglie in casa. Quel bimbo senza dimora è il simbolo delle emozioni che sorgono in noi e che nessuno accoglie per paura, egoismo, ma forse più semplicemente perché non conosciamo l’arte del vivere, la vera grande arte. Gesù cresce poi nel mondo mediorientale, crudele allora come ora; non trova uno sbocco emotivo soddisfacente nell’ingiusta società di Israele, è disgustato dalla sanguinaria religione ebraica. Piuttosto che vivere in quel mondo, preferisce farsi ammazzare, e invita i suoi discepoli a imitarlo: tutti lo seguono ciecamente abbracciando il suo tragico destino. A me sembra che la lettura emotiva della vita di Gesù suggerisce, inoltre, che noi stessi ci siamo ridotti a dei poveri cristi in croce con la nostra incapacità a sviluppare e a vivere pienamente le nostre emozioni.

L’approccio emotivo può dare un impulso verso i nuovi traguardi che attendono l’umanità che si sta globalizzando nella cultura. Io penso che la cultura utopica italiana, con l’enorme patrimonio lasciatoci da Gioacchino da Fiore, Campanella, Telesio, Giordano Bruno e Galileo, possieda le risorse per tirare il mondo fuori dalle secche e per creare un orizzonte alto che aiuti a vivere, senza rimanere schiacciati dalla vita reale.

Questa piccola Teoria Emozionale suggerisce che, per raggiungere la divinità, non è più necessario morire in croce o rimanervi inchiodati. Mai come adesso mi sembra vicina una nuova visione di Dio, che unisca dal profondo tutti gli uomini al di là di razza e religione. Era proprio questo, alla fine, il sogno di tutti i fondatori di religioni, dei filosofi, dei santi, dei missionari, degli esploratori e delle persone di buona volontà in ogni tempo. Dio è quel sogno che diventa realtà e ognuno di noi, se crede, può aiutare a realizzarlo.


Salvatore Mongiardo

lunedì 21 dicembre 2009

LUNA DI BADOLATO

Scrivo questo racconto come cartolina di auguri e lo dedico particolarmente agli Amici del Sissizio, che dal 1995 mi hanno fatto compagnia in questa bella avventura. Quando, nel sissizio dell’agosto 2009, il professor Vincenzo Squillacioti è arrivato madido di sudore con il Bue di Pane, la signora Franca Carnuccio esclamò: A vaccarerha e pana! La vacchetta di pane! Scoprimmo così che a Badolato, con la prima infornata di pane fatto col grano nuovo, le donne facevano una vacchetta di pane che davano ai bimbi. Questa scoperta ci riporta indietro di venticinque secoli all’offerta del Bue di Pane fatta da Pitagora, uso sopravvissuto miracolosamente a Badolato fin quando noi, senza saperlo, l’abbiamo ripreso.

In seguito, riflettendo a come Badolato mi aveva fatto scoprire la vacchetta di pane, mi sono ricordato di quest’altra storia che mio padre raccontava.

Era il 1922 quando mio nonno Salvatore, il fabbro, morì lasciando la moglie e otto figli piccoli. Mio nonno morì per una polmonite contratta nella prima guerra mondiale sul Monte Grappa. Non era voluto andare all’ospedale di Catanzaro per farsi riconoscere la malattia, la famiglia rimase perciò senza pensione e mio padre dovette imparare in fretta il mestiere di fabbro. Un giorno arrivò un uomo che gli chiese una grata di ferro per la finestra. Mio padre non la sapeva fare perché la grata, in Calabria, ha il segreto che consiste nel rendere impossibile sfilare le sbarre di ferro da sopra o da sotto o da destra o da sinistra.
Mio padre pensò di rivolgersi a mastro Pietro, intagliatore e falegname ma figlio di un fabbro che gli aveva tramandato il segreto. Mastro Pietro però giudicò che mio padre era troppo giovane, quattordici anni appena, e gli disse che glielo avrebbe spiegato quando sarebbe cresciuto. Per adesso lo avrebbe aiutato montando lui stesso la grata: mio padre, mastro Vincenzino, come cominciavano a chiamarlo i clienti, doveva portargli le sbarre di ferro dopo aver fatto i fori che lui gli indicava.
Con questi pensieri in testa mio padre, che suonava la tromba, si avviò a piedi assieme agli altri musicanti per il viottolo che portava da Sant’Andrea a Badolato, dove dovevano suonare per una festa. A Badolato i bandisti passarono la notte alloggiati dalle famiglie; a mio padre toccò una famiglia numerosa dove c’erano ventisei letti e gli fu dato un letto nel mezzanino che aveva una finestra con la grata. Stanco del viaggio prese subito sonno, ma di notte si svegliò, guardò alla finestra e vide la luna attraverso la grata. Notò allora che ogni sbarra di ferro trapassava un’altra sbarra ma era trapassata da un’altra ancora incrociandosi. C’era solo un riquadro tra le sbarre, quello del segreto, che permetteva di assemblare le sbarre verso il centro. Mio padre, appena tornato a Sant’Andrea, scaldò le sbarre di ferro, le bucò, unì la grata e la portò a mastro Pietro che la guardò ed esclamò: Mi devi dire chi ti ha svelato il segreto! Mio padre rispose: La luna di Badolato!

Buon Natale e Felice 2010
Salvatore Mongiardo