La mattina di domenica 11 maggio 1947 la
terra, preceduta da boati spaventosi, tremò ripetutamente nei paesi attorno a
Isca sullo Ionio. Sant'Andrea e Badolato ebbero gravi danni e Isca, epicentro
del terremoto, fu quasi disintegrata. Il terremoto finì dopo alcuni giorni e mio
nonno materno Bruno, da poco ritornato dall'America, mi disse che saremmo
andati a Isca per il matrimonio di una giovane della famiglia do Rizzu, figlia di un suo amico ischitano
conosciuto a Canton, Ohio. Io avevo sei anni e di buon mattino lasciammo Sant'Andrea prendendo il viottolo che iniziava dalla curva di Riggina e portava verso Isca passando davanti alla chiesa
della Madonna Assunta di Campo. La parola Riggina,
ancora in uso, è un ricordo dell’antica strada romana che portava a Reggio.
Nonno Bruno si fermò a pregare davanti
alla chiesetta dell’Assunta e poi continuammo verso la fiumara di Saluro, che
segna il limite tra i due paesi. Le insegne stradali portano Salubro invece di Saluro, ma è una corruzione.
La parola Saluro indica le saline naturali che si formavano alla foce del
fiume: salina in greco si dice alìki,
da cui deriva il termine Alaca dato all'altro fiume a nord di Sant'Andrea. In una mappa del Milleseicento, mostratami dall'esimio amico
Marziale Mirarchi, Saluro è segnato come Saliero.
Questa corruzione di nomi di fiumi, derivanti
dal greco o altre lingue arcaiche, è un fenomeno abbastanza frequente in Calabria.
Per esempio, il fiume Ancinale, alle porte di Soverato, deriva da Lacinale, e difatti scende dal bosco
della Lacina, e l’Amato, che va verso
Lamezia, deriva da Làmeto.
Arrivati a Isca, andammo per le viuzze del
paese tra case semidistrutte e fummo poi ricevuti cordialmente dalla famiglia
amica. Le nozze erano avvenute giorni prima, e quel giorno era dedicato alla
raccolta dei regali che amici e parenti portavano agli sposi. I regali allora
erano quasi tutti in natura: grano, olio, polli, formaggi e anche nonno Bruno diede
il suo. La casa dove gli sposi ricevevano aveva tutti i muri, anche se
lesionati. Nonno Bruno volle poi visitare la chiesa, dedicata a San Marziale, senza
tetto perché crollato. I santi guardavano dalle nicchie inondate dal sole che entrava
dal tetto, e sembrava volessero chiudere gli occhi perché non erano abituati a
tanta luce.
Chiesi dubbioso:
-
E’
qui che avete celebrato il matrimonio?
-
Certo,
risposero, questa è sempre la chiesa!
Poi la madre della sposa ci accompagnò a
un’altra casa, che mancava totalmente di un muro, dove erano conservati dolci e
confetti. Ne fece un cartoccio per noi e chiuse la porta con una grande chiave
di ferro. A me sembrò inutile chiudere a chiave una casa senza muro, e lo dissi
alla donna che ribatté:
-
La
casa è sempre la casa!
Tornammo poi verso Sant'Andrea, alta
sulle colline che scendevano precipiti verso Saluro.
A più di sessanta anni di distanza da
quel viaggio, recentemente ho sognato più volte di ritornare a piedi a Isca, e
nel sogno avveniva così. Lasciavo Sant'Andrea e scendevo verso il fiume Saluro,
attraversavo il greto asciutto della fiumara e mi dirigevo verso Isca, nascosta
tra colline azzurre. Poi arrivavo a una casa con un giardino fiorito e lì
provavo una grande felicità.
Quel sogno si è avverato una sera di
agosto 2014, quando fui ospite, assieme a mia figlia Gabriella venuta dalla
Florida, di Enzo Marascio e di sua moglie Marisa Buffetta nella loro villa di
Isca. Cenammo tutti insieme nel giardino e mangiammo pietanze vegetariane, preparate
con muscolo di grano, ragionando di un mondo senza spargimento di sangue e
senza violenza.
Salvatore
Mongiardo
28 settembre 2014