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domenica 13 luglio 2025
sabato 5 luglio 2025
UNA VITA PER LA PACE
SALVATORE MONGIARDO
FILOSOFO DELLE DONNE E DELLA PACE
PROPOSTA PER UN MOVIMENTO PITAGORICO DELLA
PACE
2025
Dedico questo libro
a tutti gli abitanti della Terra
per accendere nei
loro cuori
il desiderio di un mondo in pace.
In copertina:
Gabriella Mongiardo, figlia dell’Autore, spezza una spada, simbolo della guerra,
sulla riva del Mare Jonio.
Premessa - Un tripudio di vita
Tra gli infiniti mondi dell’universo
forse solo sulla Terra esiste il mirabile tripudio di acque, piante, fiori ed
esseri viventi che popolano mare, terra e cielo. Quel tripudio è ora oscurato da
un velo di mestizia per i conflitti cruenti in cui sono massacrate popolazioni
inermi. I politici, tutti, riforniscono i contendenti di armi terrificanti che hanno
costi spaventosi in vite umane e denaro, una realtà spietata che va avanti da migliaia
di anni. Molti hanno perso la speranza di vivere in un mondo in pace e pensano che
una guerra nucleare sia la soluzione inevitabile di tutti i conflitti.
In questo cupo scenario ho preso la decisione di parlare e scrivere per affermare che la pace verrà. Si può pensare che io sia un visionario che pretenda di pacificare il mondo, cosa che finora nessuno è riuscito a fare. Non mi meraviglierei di un tale giudizio, confermato del resto dai fatti della storia, ma non della storia sconosciuta che ora voglio raccontare.
Oggi tutti parlano di AI, o Intelligenza Artificiale, che a me sembra un mezzo che può eliminare molta della fatica del vivere, come fecero il motore e l’elettricità. Tuttavia, non credo che AI possa offrire molto aiuto per il problema che io vorrei risolvere, perché serve piuttosto quell’Intelligenza Spirituale di cui scriveva l’abate Gioacchino da Fiore (1130-1202):
Pulisci gli occhi della mente dalle polveri terrene. Abbandona le folle tumultuanti e il frastuono delle parole. Segui in spirito l’angelo nel deserto, sali con lui sul monte grande e alto e da lì potrai vedere i disegni profondi, nascosti fin dai giorni antichi lungo tutti i secoli.
Gioacchino affermava che l’Intelligenza Spirituale, una facoltà superiore a qualunque scienza, era necessaria per poter comprendere i disegni nascosti sotto gli eventi della storia.
Dante Alighieri (1265-1321), nella Divina Commedia (Paradiso, XII, 140-141) chiamò Gioacchino:
Il calabrese abate Gioacchino
Di spirito profetico dotato.
Quell’abate difatti in un altro passo esortava:
Aprite gli occhi al significato della
storia e vedrete che la lotta crudele di oggi contiene la promessa di una nuova
era quando cesseranno i conflitti.
La mia lunga esperienza di vita mi conferma che io posseggo la dote di vedere legami nascosti tra gli eventi, legami che poi con la ricerca si dimostrano veri. Per questo motivo sento il dovere morale di esporre le mie conclusioni assieme alle prove che le sostengono. Spetterà agli altri giudicare liberamente la validità delle mie affermazioni.
Mi accingo perciò a raccontare una storia cominciata circa quattordici miliardi di anni fa, e chiarisco fin da ora che io non sono alla ricerca di consensi o di seguaci per poter emergere sugli altri, cosa che non appartiene al mio carattere. Cerco invece compagni di avventura dalla mente libera, soprattutto donne, le quali per natura sono dotate di facoltà materna, il materno, cioè sono procreatrici della vita con il corpo, e poi sempre protettrici della vita umana con il cuore e con l’anima.
1. Quattordici miliardi di anni fa
Una persona immaginaria che poco dopo il Big Bang avesse scrutato l’ammasso
informe di atomi e molecole, si sarebbe scoraggiata osservando quella immensa poltiglia
da cui non erano ancora nate le stelle e le galassie. Quella persona non avrebbe
mai potuto immaginare che, quattordici miliardi di anni più tardi, Pitagora
avrebbe percepito la musica delle stelle,
contemplando il loro ordine mirabile nel cielo notturno. Quelle stesse stelle
che poi San Francesco d’Assisi avrebbe chiamato clarite, preziose e belle nel suo Cantico delle Creature.
ll filosofo Kant un
giorno avrebbe scritto sulle stelle la celebre frase che fu poi incisa sulla
sua tomba:
Due cose mi riempiono l'animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente: il cielo stellato sopra di me e la legge morale dentro di me.
Fino al 1924 gli astronomi credevano che esistesse solo la nostra
galassia, la Via Lattea. Successivamente l'americano Edwin Hubble (1889-1953)
allargò la visione dell'universo e il belga George Lemaître (1894-1962), prete
cattolico e uno tra i massimi matematici, fisici e cosmologi del suo tempo,
pubblicò nel 1927 la Teoria dell'atomo
primigenio, nota a tutti come Big
Bang. Quel termine fu usato dal fisico inglese Fred Hoyle (1915-2001) nel
senso di Grande Scoppio, da lui
ritenuto impossibile, per indicare in
modo ironico l'esplosione iniziale ipotizzata da Lemaître.
Prima ancora di Lemaître, Einstein (1879-1955) e tutti gli altri
scienziati ritenevano che l'universo fosse stazionario, cioè che non si
espandesse continuamente, come in realtà avviene. Einstein aveva respinto
l'ipotesi espansionistica e, in un incontro con Lemaître, gli aveva detto in modo
sarcastico:
Questa faccenda somiglia troppo alla Genesi, si vede bene che siete un prete.
In un successivo incontro, però, al termine di un’altra esposizione di
Lemaître sulla teoria della nascita e della continua espansione dell’universo,
Einstein riconobbe il proprio errore e
ne ammise la correttezza, dicendo:
Questa è la più
bella e soddisfacente spiegazione della creazione che abbia mai sentito.
Come tutte le teorie, anche quella del Big Bang in futuro sarà rivista, ampliata o superata, tuttavia per ora è la migliore ipotesi prodotta dalla comunità scientifica ed è universalmente accettata perché offre spiegazioni ragionevoli sulla nascita e la formazione del cosmo.
La mia facoltà di intravedere ciò che è nascosto mi ha portato ad identificare qualcosa che tutti sperimentiamo ogni giorno, ma che finora è rimasta incompresa: l’Universo Emozionale, illimitato e in continua espansione, che comprende tutte le emozioni umane dalla gioia al dolore, dalla speranza alla disperazione, dall’odio all’amore, dalla felicità all’infelicità, dalla frustrazione alla contentezza. Chiediamoci, allora: Se così stanno le cose, quando ha iniziato a formarsi l’Universo Emozionale?
Gli antropologi
affermano che il processo creativo delle umane emozioni abbia iniziato a
formarsi con l’Homo Sapiens, circa 200.000 anni fa, un periodo che ora si sta allargano
fino a 500.000 anni fa.
Se le umane emozioni esistono, come tutti sappiamo, a cosa servono? Esse, io credo, servono a formare la coscienza umana per portare l’umanità verso un destino essenzialmente evolutivo. Il leone di centomila anni fa non è cambiato da quello di oggi che caccia, uccide e si accoppia, ma non ha imparato a volare né a comporre musica o poesia, tutte conquiste umane che puntano costantemente verso orizzonti elevati di conoscenza e sogni di cose belle.
2. I due universi
Le stelle, il Sole e la Luna non sono consapevoli
della loro bellezza che riempie la nostra anima e ci porta a comporre versi,
musica, canzoni: siamo solo noi che riconosciamo la loro bellezza. Per questo
motivo ritengo che le umane emozioni siano miracolose increspature dell’anima
simili a fiori dell’universo, delle quali l’Essere Misterioso, chiamato
anche Dio, ha bisogno per acquisire consapevolezza di sé. In
realtà, lo stesso concetto tradizionale di Dio non va oltre le umane emozioni.
Difatti, Dio premia con la felicità del paradiso le persone che in vita hanno agito
bene, mentre castiga con le pene dell’inferno quelle che hanno agito male. Ma la
felicità del paradiso e le sofferenze dell’inferno altro non sono che due
emozioni. Di conseguenza si può dire che Dio
è la Massima Emozione, Amore, come
lo definì Giovanni, il discepolo prediletto di Gesù.
Gli scienziati non
hanno mai preso in considerazione che esista un universo emozionale regolato da
una precisa legge: la Legge Universale
del Desiderio, così come l’universo stellare è regolato dalla Legge di Gravitazione Universale.
Nel 1932 la Società delle Nazioni chiese ad Einstein di intraprendere un carteggio con una personalità su un argomento di propria scelta, ed egli scrisse a Sigmund Freud (1856-1939) cosa pensasse sulla possibilità di porre fine a tutte le guerre, scrivendo:
Esiste un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? È ormai risaputo che, con il progredire della scienza moderna, rispondere a questa domanda è diventata una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta; eppure, nonostante tutta la buona volontà, nessun tentativo di soluzione è purtroppo approdato a qualcosa di concreto…
La sete di potere della classe dominante è in ogni Stato contraria a qualsiasi limitazione della sovranità nazionale. Questo smodato desiderio di potere politico si accorda con le mire di chi cerca solo vantaggi mercenari, economici. Penso soprattutto al piccolo ma deciso gruppo di coloro che, attivi in ogni Stato e incuranti di ogni considerazione e restrizione sociale, vedono nella guerra, cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un’occasione per promuovere i loro interessi personali e ampliare la loro personale autorità.
Una sola risposta si impone: l’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare
e di distruggere. In tempi normali la sua passione rimane latente, emerge
solo in circostanze eccezionali; ma è abbastanza facile attizzarla e portarla
alle altezze di una psicosi collettiva. Qui, forse, è il nocciolo del complesso
di fattori che cerchiamo di districare, un enigma che può essere risolto solo
da chi è esperto nella conoscenza degli istinti umani.
Freud gli rispose con una lettera lunga e articolata che riassumo così. Egli era d’accordo con l’analisi di Einstein e spiegava che la guerra è violenza che esiste in natura, poiché ogni individuo è sottoposto a due pulsioni fondamentali: amore e morte, che chiamò con i termini greci di Eros e Thànatos. Freud non offrì alcuna soluzione pratica per porre fine alle guerre, ma ammise che ciò poteva essere possibile in futuro, quando l’uomo, grazie all’incivilimento, sarebbe riuscito a domare l’aggressività. Ciò sarebbe potuto avvenire attraverso la cultura, l’unico mezzo che egli riteneva capace di porre fine alle guerre, creando traguardi ideali come il pacifismo, al quale lui stesso aderiva, come vi aderiva Einstein. Nel 1925 Freud sottoscrisse con Gandhi e altre personalità un appello contro la coscrizione militare obbligatoria.
In un punto della lettera Freud sfiorava il periodo arcaico, la mitica
Età dell’Oro, quando tutti vivevano
in pace, un’idea che a lui sembrava inverosimile, e ammetteva che gli sarebbe piaciuto
saperne di più. Le due lettere furono pubblicate nel 1932, ma poi furono proibite
dal regime nazista di Hitler nell’anno successivo.
Einstein dovette rifugiarsi in America nel 1932, dove poi visse e morì, mentre le opere di Freud furono bruciate quando l’Austria fu annessa al Terzo Reich nel 1938. Egli stesso dovette riparare a stento in Gran Bretagna, dove morì poco dopo.
Freud insegnava che possiamo trovare noi stessi solo in connessione con le nostre radici, perché per orientare il nostro futuro è necessario sapere chi siamo e da dove veniamo. È proprio questo il punto: oggi noi sappiamo che un tempo di vita felice e di pace è realmente esistito, cosa che Freud non poteva sapere, perché quel mondo fu portato alla luce a metà del 1900 con la scoperta che nella società neolitica compresa tra il 7000 e il 3500 a.C., non esistevano armi, né guerre e né fortificazioni.
Questa fu la grande scoperta di Marija Gimbutas (1921-1994), archeologa e antropologa lituana, poi naturalizzata americana. Le sue scoperte, confermate da numerose campagne di scavi, portarono alla luce un numero straordinario di migliaia di reperti e furono in seguito convalidate da molti scienziati di tutto il mondo.
Lei indagò soprattutto la fase storica che va dall’7000 al 3500 a.C., caratterizzata dall'eguaglianza dei sessi e dall’assenza di forme autoritarie di patriarcato. Pubblicò libri fondamentali tra cui La civiltà della Dea e Il linguaggio della Dea che esplorano il modo di vivere e di pensare dell’Antica Europa, come lei chiamò l’insieme di Italia meridionale, Sicilia, Balcani, Grecia e isole, Ungheria, Romania, Moldavia e Ucraina meridionale.
Quelle popolazioni neolitiche, che vivevano di agricoltura, furono ulteriormente esplorate da Riane Eisler (1931), scienziata austriaca, poi naturalizzata americana, che espose le sue scoperte in due famosi libri: Il Calice e la spada e Il piacere è sacro.
Nel periodo analizzato dalle due studiose non vi sarebbe stato né
matriarcato né patriarcato, ma gilanìa,
termine utilizzato anche da Gimbutas, coniato da Eisler, che lo formò unendo le
radici greche di gy (gyné, donna) e an (anèr, uomo), unite da una l dell’iniziale del verbo lyo (liberare), per indicare che in quel periodo neolitico non c’era dipendenza alcuna
tra le due componenti sessuali dell'umanità.
3. La Legge Universale del Desiderio
L’universo è governato dalla Legge
di Gravitazione Universale, scoperta da Galilei, Newton e Keplero, secondo la
quale tutti i corpi celesti si attraggono secondo una precisa regola fisica. Se,
per ipotesi, quella legge saltasse, le stelle e i pianeti si scontrerebbero e
l’universo finirebbe forse in un mare di fuoco. Ma, ci chiediamo, esiste una
legge che regola l’universo delle emozioni, quelle miracolose increspature
dell’anima che io chiamo fiori dell’universo? È mai stata scoperta da qualcuno?
La risposta è sì, quella
legge è stata scoperta da tre grandi personaggi storici: Buddha, Eraclito e
Gesù.
Buddha disse che la vita è dolore, perché non vogliamo morire, ma c’è la morte; vogliamo mangiare, ma non c’è il cibo; vogliamo essere sani e invece siamo malati. Secondo lui, quindi, il dolore nasce dal desiderio di non morire, di non aver fame, di essere sani. Per vincere il dolore della vita, bisogna quindi staccarsi dal desiderio: allora entriamo nello stato di quiete, il nirvana, e il dolore finisce. Così parlò Buddha in India nel sesto secolo avanti Cristo.
Il suo contemporaneo greco Eraclito, vissuto a Efeso, allargò invece la sfera del desiderio, invitando gli uomini a desiderare oltre il limite del ragionevole con la sua Dottrina dell’Insperabile:
L’insperabile è arduo da raggiungere e nessuna strada vi conduce. Se non speri l’insperabile, non lo scoprirai mai.
Eraclito invitava chiaramente a sperare anche l’impossibile, perché
anche i sogni e i desideri che oggi sembrano impossibili potrebbero realizzarsi.
Gesù completò il messaggio di Buddha e di Eraclito, sostenendo che il forte desiderio può cambiare la realtà, tanto che possiamo dire che Gesù è il re dei desideri realizzati. La vita di Gesù è un susseguirsi di miracoli. Manca il vino? Muta l’acqua in vino. Non bastano i pani? Li moltiplica. C’è un cieco? Gli dà la vista. Un morto? Lo fa risorgere. Per Gesù la fede non consiste nell’accettazione di definizioni dogmatiche, come per esempio l’unità e trinità di Dio, cosa di cui egli non ha mai parlato, ma nella viva speranza che un desiderio possa compiersi: avere fede, o credere, per lui significa desiderare, e la preghiera è necessaria perché mette in moto il desiderio, la forza che può cambiare l’esistenza. Egli disse difatti: Abbiate fede, cioè desiderate, chiedete e vi sarà dato.
La storia prova che i grandi desideri si sono sempre realizzati quando ci si è impegnati: Icaro e il volo umano, la vittoria su tante malattie, la scoperta del cosmo, i viaggi interplanetari. Quando parliamo di desideri, ci riferiamo ai grandi desideri comuni a tutta l’umanità, quelli che Eraclito chiamava i sogni da svegli, non alle voglie spicciole e individuali di sesso, cibo, soldi o altro.
C’è tuttavia una differenza o scarto tra il desiderio e la sua
realizzazione, come dimostra per esempio il volo umano, realizzato con il
motore a scoppio montato dai fratelli Wright su un aereo nel 1903. Quell’invenzione
non era immaginabile per Icaro, e perciò lui usò un mezzo inadeguato per volare,
le piume di uccello e la cera. Alla fine, però, dopo circa tremila anni, quel
desiderio si è realizzato, anche se non come Icaro immaginava.
Dante Alighieri (1265-1321) unì la Legge di Gravitazione Universale con la Legge Universale del Desiderio, il quale nella sua espressione più alta è amore, come scrisse nel verso che chiude la Divina Commedia:
L’amor che move il sole e l’altre stelle.
Quel verso di singolare potenza e bellezza ci porta a immaginare la grande poesia come una roccaforte imprendibile, dentro la quale si sono rifugiate le aspirazioni più profonde dell’umanità, come il ricordo-rimpianto dell’Età dell’Oro, quando si viveva felici e in pace, in comunità di vita e di beni, senza bisogno di leggi. Molti poeti greci e latini, tra cui Esiodo e Virgilio, decantarono quel mondo ritenuto immaginario ma che oggi noi sappiamo essere realmente esistito.
4. Cosa scrisse un ometto
Ometto era chiamato un uomo piccolo di
statura, all’incirca un metro e mezzo, come Leopardi, ma gigante nell’ingegno: il
filosofo tedesco Immanuel Kant (1724-1804).
Egli non amava le guerre e nel 1795, a settanta anni compiuti, scrisse un
piccolo libro: Per la pace perpetua.
In esso egli elaborò un sistema per arrivare ad una pace perpetua, un sistema
che però non ha funzionato; anzi, dopo la sua morte l’umanità ha combattuto le guerre
mondiali più sanguinose. In quel libricino Kant scrisse cose che destano
stupore per la loro attualità, come per esempio:
- La pace perpetua è uno scopo
predeterminato per noi dalla natura, qualcosa cui siamo destinati.
- Gli eserciti permanenti devono col
tempo cessare di esistere, perché la loro presenza è una minaccia per gli Stati
vicini e li spinge ad armarsi a loro volta, generando una corsa agli armamenti.
Inoltre, il mantenimento di tali eserciti è molto costoso, genera debito
pubblico oppressivo che grava sui cittadini anche in tempo di pace.
- La guerra però fa parte della
natura umana: l’uomo è naturalmente spinto ad essa, apprezza le virtù
guerriere, e vede nella guerra una fonte di dignità, nobiltà e valore.
- La pace è raggiungibile attraverso un sistema giuridico al quale tutti gli Stati dovrebbero sottostare.
La storia però dimostra che dapprima la Società delle Nazioni e poi l’ONU, create per mantenere la pace, non hanno funzionato, perché prive del potere di imporre le proprie decisioni agli Stati membri.
Nel mondo antico Pitagora formalizzò
i cinque principi etici da osservare per vivere bene. Gesù predicò un’etica
perfettamente uguale a quella di Pitagora, come ho dimostrato in alcuni dei
miei libri come il Pentalogo di Pitagora e
Cristo ritorna da Crotone, disponibili gratuitamente in rete. Egli intendeva
portare l’armonia del Regno dei Cieli o Regno di Dio tra gli uomini, attraverso
l’osservanza dei principi etici corretti, e perciò affermava:
Il regno di Dio è dentro di voi (entòs ymòn).
Nel mondo moderno, invece, Einstein e Freud affermarono che l’uomo è
cattivo per natura e le guerre erano necessarie per soddisfare il piacere di
uccidere e distruggere: i conflitti attuali in Medio Oriente e Ucraina
confermerebbero il loro ragionamento. Ma anche a quei due geni sfuggiva una
realtà che è sotto gli occhi di tutti: quando si parla di guerre si parla
sempre di uomini, mai di donne, quelle che per i Cinesi sono l’altra metà del cielo. Le donne non
hanno mai fatto guerre in nessuna parte del mondo, né fabbricato armi o formato
eserciti:
La guerra è stata fatta sempre dai
maschi.
Sono convinto che se madri russe e ucraine, israeliane e palestinesi potessero decidere, farebbero la pace subito. Anzi, non ci sarebbe bisogno di nessuna pace, perché quelle orribili guerre non sarebbero mai scoppiate.
5. Antica Europa e Indoeuropei
Marija Gimbutas ha concluso che le diverse culture europee
derivano dall’incontro-scontro di due diverse civiltà: una collisione avvenuta tra
le popolazioni dell’Antica Europa e gli Indoeuropei, provenienti dai territori
situati a nord del Mar Nero, del Caucaso e del Mar Caspio. L’Antica Europa comprendeva,
abbiamo già visto, Italia meridionale, Grecia, Balcani, Romania, Ungheria,
Ucraina meridionale e Moldavia. Quei popoli erano dediti all’agricoltura,
praticavano il culto della Grande Madre e avevano le donne alla guida pacifica della
comunità.
Gli Indoeuropei, invece, provenivano da vaste steppe
siberiane non adatte all’agricoltura, perché battute dai venti, dove
scorrazzavano orde di animali, soprattutto cavalli. Gli uomini, impegnati nella
cattura e nell’allevamento degli animali, dominavano le donne e veneravano divinità
maschili.
I popoli provenienti dalle steppe asiatiche furono chiamati Indoeuropei, perché dal 3500 a.C. in
poi, invasero a varie ondate l’Antica Europa a ovest e i territori fino
all’India a est. Essi avevano armi di rame, metallo malleabile che trovavano in
forma di pepite lungo le sponde dei fiumi, montavano cavalli domati e sottomettevano
facilmente le popolazioni neolitiche che non avevano armi né conoscevano guerre.
Gli Indoeuropei erano noti per la loro crudeltà e per la facilità nell’uccidere nemici anche all’interno del proprio clan, ma non si può dare loro la colpa di tutta la violenza del mondo: io ipotizzo una loro comune origine siberiana con i popoli che migrarono fino al Giappone e al Nord America. Quelle vicende confermano comunque che sono stati sempre i maschi a praticare guerre, uccisioni e distruzioni.
Pitagora proibiva l’uccisione di qualsiasi animale affermando:
Se non osi uccidere un animale, mai
ucciderai un uomo. La pace nasce dal rispetto della vita dell’animale, nostro
fratello minore, che dobbiamo aiutare e proteggere.
Se Pitagora avesse parlato così a uomini o donne delle steppe che si nutrivano di carne, gli avrebbero detto: Allora noi e i nostri figli cosa mangiamo?
Probabilmente il
filosofo non avrebbe risposto nulla, ma nella sua mente era ben chiaro che le
regole dell’etica erano immutabili come quelle della matematica, le quali prescindono
dalle esigenze pratiche o dalle intenzioni. E avrebbe concluso che uccidere gli
animali, anche se per necessità di cibo, avrebbe comunque fatto dilagare la
violenza tra gli uomini. Difatti affermava:
La pace nasce dal rispetto della vita degli animali.
Per capire questo concetto, prendiamo per ipotesi qualcuno che si butta
dalla finestra per suicidarsi oppure è buttato dalla finestra contro la sua
volontà per farlo morire. Il risultato sarà identico nei due casi, e non dipende
dalle intenzioni, ma dalla Legge di Gravità: si sfracella al suolo.
Questo dimostra che a volte la realtà blocca le migliori intenzioni, ma dimostra anche che l’evoluzione umana, costata tante lacrime e sangue, ci riporta a Pitagora, per il quale il vegetarismo era il fondamento dell’etica. Oggi l’alimentazione vegetariana non solo è possibile, ma è anche meno costosa, più sana e allunga la vita.
La conclusione più importante è che la violenza indoeuropea non è un fatto del lontano passato, ma è invece continuata nei secoli con le invasioni barbariche ed è andata poi sempre aumentando fino ai nostri tempi, quando la fatica del vivere è diventata opprimente a causa della competizione sfrenata di tutti contro tutti.
Ci furono però alcuni personaggi che capirono il problema e vollero opporsi al sistema competitivo già dominante ai loro tempi, tra cui Pitagora e Gesù, e pagarono con la vita il loro messaggio realmente rivoluzionario.
6. Pitagora Maestro di vita
L’espansione degli Indoeuropei non avvenne
solo con le conquiste, ma anche per migrazione, e non fu uguale in tutti i
territori, alcuni dei quali erano protetti dalla difficoltà di essere
raggiunti. Così accadde ad alcune isole greche tra cui Creta e Samo, dove
sopravvissero alcuni riti riservati alle donne. E anche a Lesbo, dove Saffo e
le sue amiche si riunivano per celebrare i loro riti nel tìaso. Pitagora stesso, tra i tredici e i diciotto, trascorse cinque
anni dallo zio Zoilo a Lesbo, negli stessi anni in cui Saffo era presente nell’isola.
La Calabria si salvò dall’invasione indoeuropea grazie alle foreste della Sila, popolate da orsi e lupi. Solo in seguito essa venne raggiunta via mare dai coloni greci, che a loro volta discendevano dagli Indoeuropei invasori che diventarono la classe dominante della Grecia. Alcuni di loro, difatti, erano biondi e portarono armi e cavalli in Calabria, che allora era chiamata Italìa, nome datogli da Italo. Egli era discendente di uno degli Enotri greci, sbarcati in Calabria con la prima colonizzazione, quella avvenuta intorno al 1700 a.C., circa mille anni prima della colonizzazione classica, quella che vide la nascita delle colonie greche di Sibari, Crotone, Locri, Reggio e altre.
La sete di conoscenza portò Pitagora a viaggiare per circa quaranta anni in Grecia, Fenicia, Siria, Egitto e Mesopotamia. In Egitto egli rimase ventidue anni e frequentò templi e riti, imparando la lingua e le scritture demotica e geroglifica. Infine volle andare in Mesopotamia, dove conobbe Zaratustra o i suoi discepoli. Rimase nella capitale Babilonia dodici anni e, attorno ai cinquantaquattro anni di età, tornò alla sua patria, l’isola di Samo. Lì si mise ad insegnare con scarso successo, perché Samo era sotto la tirannia della famiglia di Policrate, che cercava di coinvolgere Pitagora nel governo per averne lustro. Pitagora fuggì di notte e si imbarcò per Crotone, dove egli era già stato una prima volta intorno al 580 a. C. Allora era ragazzino venuto con suo padre Mnesarco, il quale viaggiava per vendere ai ricchi coloni greci pietre incise come sigilli da incastonare negli anelli, che gli uomini portavano come segno di distinzione e nobiltà.
Quel suo primo viaggio lo aveva colpito per il senso di libertà e allegria che c’era nella polis di Crotone, dove non esistevano schiavi e le donne giravano libere per la città. Quando ritornò a Crotone nel 530 a.C., già molto noto come il più sapiente dei Greci, fu accolto con grandi onori dal popolo e dalle autorità. Tuttavia, egli si trovò in difficoltà quando propose la comunità di vita e di beni, una riforma che i ricchi della città non volevano, perché li avrebbe costretti a condividere i loro beni con tutta la popolazione.
Ad un certo punto vennero a Crotone dai villaggi circonvicini duemila barbari, assieme ai loro capi, mogli e figli, per ascoltare quel famoso sapiente. Quei barbari erano Lacini, un popolo autoctono fino a oggi sconosciuto e da me portato alla luce. Essi abitavano in tutto il Golfo di Squillace da Locri fino a Capo Lacino, accanto a Crotone, ora chiamato anche Capo Colonna per l’unica colonna superstite del tempio della dea Era Lacina. Difatti, alle spalle della costa jonica compresa tra Monasterace, Soverato e le montagne delle Serre Calabresi, si stende un vasto altopiano chiamato da sempre Lacina, ricco di acque e popolato fin dall’epoca arcaica per la sua fertilità. Quell’altopiano era il centro dei Lacini ed è ancora abitato da paesi che conservano alcune tradizioni arcaiche, come la vaccarella di pane.
I Lacini non vivevano secondo l’etica greca, ma secondo quella neolitica, e non praticavano guerre, non avevano armi o eserciti. Essi non credettero alle loro orecchie nel sentirsi dire da Pitagora - forse aiutati da traduttori loro parenti - che il modo di vivere corretto era quello che loro stessi praticavano. L’etica lacina, infatti, coincideva con quella che Pitagora aveva elaborato confrontando i vari modi di vita delle popolazioni conosciute nei suoi viaggi.
I Lacini decisero allora di nominare Pitagora loro legislatore e fondarono per lui e la sua Scuola il nuovo villaggio di Laureta, sito tra Crotone e il vicino Capo Lacino, e costruirono anche una sala capace di contenere seicento persone, dove Pitagora parlava di sera.
Quella Scuola fu l’unica nel mondo antico ad accettare le donne come allieve al pari dei giovani che accorrevano numerosi da Crotone, Caulonia, Locri, Agrigento, Siracusa e perfino da Cartagine e dall’Etruria. La Scuola godette di fama e prestigio tali che l’Italìa delle poleis greche venne chiamata Magna Grecia, Megàle Ellàs, cioè Grande Grecia, un avvenimento ancora oggi non compreso, perché quel nome, scrive Porfirio, non le fu dato per lo splendore delle poleis o l’abbondanza dei raccolti, ma unicamente per due motivi:
1 - la vita irreprensibile dei pitagorici;
2 - l’altezza della loro speculazione
filosofica.
Così, spiega Porfirio, quella Italìa che prima non godeva di alcuna importanza si riempì di filosofi che le diedero grande fama. Fondatore della Magna Grecia fu Pitagora, e da allora il nome di Italia ebbe un tale prestigio che lentamente si espanse su tutta la penisola.
La maggior parte degli allievi proveniva dalla vicina Crotone, dove i pitagorici cercavano di intervenire nel governo della polis secondo la dottrina del Maestro. Nel 510 a. C. dopo la distruzione di Sibari fatta da Crotone, alla quale i pitagorici erano contrari, si formò una congiura capeggiata da Cilone, un ricco crotoniate nemico di Pitagora, che lo aveva rifiutato come allievo nella Scuola. I congiurati uccisero molti pitagorici e bruciarono il villaggio di Laureta. Pitagora si salvò a stento con la sua famiglia e cercò asilo a Caulonia, che gli offrì quanto necessario, ma lo pregò di andare altrove per paura di Crotone. Lo stesso accadde a Locri, e allora Pitagora riparò a Taranto. Anche lì sorsero movimenti antipitagorici, e Pitagora fu costretto a trasferirsi a Metaponto, dove tenne Scuola per alcuni anni.
Alla fine la casa di Pitagora fu assediata da congiurati di Metaponto ed egli si salvò rifugiandosi nel tempio delle Muse, dove, come supplice, non poteva essere catturato. Era il 500 a.C., Pitagora aveva novanta anni e decise di porre termine alla sua vita, digiunando volontariamente per quaranta giorni, e non dimostrò alcuna paura quando la morte divenne incombente, paroùse prosdokìa.
Sembrava la fine di tutto, e invece fu l’inizio di una vasta diffusione del suo insegnamento nel Mediterraneo e oltre, insegnamento che ho riesaminato sui testi antichi e riassunto con il termine di Pentalogo, cioè cinque principi che, se osservati, garantiscono la felicità alle persone e la pace ai popoli.
Molti ritengono che Pitagora sia stato un matematico famoso perché autore
del Teorema del triangolo rettangolo,
ma egli fu soprattutto un filosofo etico, che usava la matematica e la
geometria per dimostrare che l’etica era una scienza con regole immutabili al
pari di quelle due scienze.
Pitagora aveva coniato per sé il termine di filosofo, cioè uno che ama la sapienza, intesa non come raccolta di nozioni, ma come qualcosa che dà sapore alla vita, cioè aiuta a vivere. Il Pentalogo non contiene comandamenti, ma principi ispiratori che la persona può liberamente osservare se vuol raggiungere la felicità.
Ho formalizzato quei cinque principi sotto forma di eguaglianza
matematica:
Felicità + Pace =
Libertà di tutti + Amicizia con tutti +
Comunità di vita e di beni + Dignità della donna + Vegetarismo.
La comunità di vita e di beni escludeva ogni forma di competizione al punto che Pitagora affermava:
La vittoria sporca la persona, perché la divide dagli altri e la rende oggetto di invidia. Egli aveva partecipato ai Giochi Olimpici, vincendo il campionato di pugilato, un’esperienza che col tempo lo portò ad escludere ogni forma di competizione, perché chi partecipa per vincere sugli altri è, secondo lui, corrotto nell’animo.
La dignità della donna era per lui maggiore di quella dell’uomo,
perché la donna aveva la capacità di rimanere incinta, partorire, allattare e
allevare i figli, proteggerli e aiutarli in qualunque situazione, mentre l’uomo
li uccideva nelle guerre.
Pitagora riesaminò le convinzioni del suo tempo alla luce delle esperienze da lui vissute. Così avvenne per la scoperta del teorema sul triangolo rettangolo, che prima di lui era applicato al Triangolo Sacro con i tre lati di misura fissa 3, 4 e 5 o loro multipli. Pitagora liberò il triangolo rettangolo da quel vincolo, affermando che, in qualunque triangolo, un angolo retto è condizione necessaria e sufficiente perché la somma delle aree dei quadrati costruiti sui due cateti equivalga all’area del quadrato costruito sull’ipotenusa. Egli fece quella scoperta a Crotone, non sappiamo in che occasione, e offrì alla divinità un bue di pane, seguendo l’usanza dei Lacini, che infornavano vaccarelle di pane col primo grano mietuto per ringraziare la vacca che dava il suo latte non solo ai vitelli, ma anche ai figli delle donne.
Questo rito arcaico si ripete ancora oggi a Spadola, un comune della Lacina vicino a Serra San Bruno.
Con quell’offerta Pitagora affermava il valore immutabile dell’etica e
il rifiuto di ogni forma di uccisione per ristabilire l’Età dell’oro…
… quando gli altari non erano macchiati
di sangue e gli uomini offrivano agli Dei miele, dolci e frutti della terra.
Per questo motivo egli affidò alle donne il compito di preparare con le loro mani il bue di pane e di portare alla divinità l’offerta con corone di fiori.
Quell’offerta del bue di pane causò grande meraviglia, ma era stata preceduta da una grande trasformazione interiore che Pitagora manifestò nel viaggio in nave che lo portava da Samo a Crotone intorno al 530 a.C. Durante la sosta a Creta, visitò la grotta del monte Ida, dove Giove neonato fu tenuto nascosto dalla madre Rea per salvarlo dal padre Crono, che divorava i suoi figli neonati. Pitagora era religiosissimo, ma non poteva accettare che Giove, padre degli Dei e degli uomini, uccidesse col fulmine a piacimento e rapisse spose e fanciulle che stuprava e metteva incinte. Quel suo rifiuto forse nasceva dal confronto che Pitagora faceva tra Giove e il Dio egizio Osiride, sempre benevolente e disposto ad aiutare l’umanità. Per questo motivo egli incise sulla roccia, con martello e scalpello, che lì Giove era morto e sepolto, noncurante dei culti e degli onori che a quel Dio erano tributati in numerosi templi in Grecia e in altre terre.
Egli ripeté quel gesto inaudito in un’altra tappa di quel viaggio a
Delfi, sacra ad Apollo, dove la sua nascita era stata preannunciata dalla
Pizia, la sacerdotessa di quel Dio. Egli non accettò che quel Dio avesse scuoiato
vivo il satiro Marsia, solo perché aveva osato sfidarlo a una gara di musica. Nonostante
i numerosi culti che si svolgevano nel tempio di Delfi, egli incise sulla
roccia che lì Apollo era morto e sepolto.
A circa sessanta anni di età, Pitagora abbandonò ciò che riteneva irrazionale e perciò dannoso al vivere bene. In quell’epoca erano pochi quelli che raggiungevano i sessanta anni, quando una persona era considerata vecchia. Ma egli sbarcò a Crotone ringiovanito nell’anima e deciso più che mai ad insegnare come raggiungere la felicità e la pace.
7. Gesù denuncia il sistema patriarcale
L’identità dell’etica di Pitagora e di
Gesù non era stata intravista né tantomeno spiegata prima di me. Mi è stato
possibile dimostrare questa identità grazie alle mie ricerche condotte sugli
antichi testi greci, che hanno messo in evidenza la dottrina seguita dai
circoli pitagorici ebraici quali gli Esseni di Israele e i Terapeuti di
Alessandria di Egitto. Ciò spiega come mai l’agire di Gesù fosse in netto
contrasto con la cultura biblica e culminò nel gesto inaudito di liberare gli
animali destinati al sacrificio del Tempio di Gerusalemme, gesto che nessuno
aveva mai osato e che gli costò la vita.
La liberazione di quegli animali era maturata in Gesù da tempo, da quando aveva parlato di sé come del Buon Pastore che vive in compagnia delle pecore, senza mangiarle né venderle. Un simile pastore era in aperto contrasto col mondo reale della Bibbia, il libro degli Ebrei, pastori nomadi che da Ur dei Caldei, sita a sud dell’odierna Bagdad, si diressero verso il Mediterraneo, guidati da Abramo alla ricerca di nuovi pascoli, abbandonando le loro terre diventate aride.
I pastori sopravvivevano nell’unico modo possibile, vendendo e mangiando pecore e agnelli e, forse per superare il senso di colpa legato all’uccisione di un animale innocente, svilupparono la convinzione che il sacrificio cruento fosse il più gradito al loro Dio. L’episodio di Caino si spiega facilmente alla luce della dottrina di Pitagora che affermava:
Se uccidi l’animale, ucciderai l’uomo.
Difatti,
l’agricoltore Caino uccise Abele, suo fratello pastore, imitando lo stesso
Abele che uccideva pecore e agnelli per offrirli in sacrificio gradito a Dio.
Da un lato la Bibbia è un bollettino di guerra con lotte e vittorie riportate dagli Ebrei alla guida del loro Dio degli Eserciti. Dall’altro lato la Bibbia testimonia la collisione avvenuta tra cultura guerriera indoeuropea e quella pacifica neolitica, ispiratrice di grandi altezze mistiche e poetiche.
Gesù compiva inoltre molte azioni che erano in aperta contraddizione
con i precetti della Bibbia:
1. Non sempre osservava il sabato.
2. Frequentava lebbrosi, prostitute ed esattori delle imposte;
3. Criticava apertamente i sacerdoti del Tempio, chiamandoli sepolcri
imbiancati, ipocriti che mettevano addosso alle persone pesi che essi stessi
non sopportavano.
4. Prendeva donne al suo seguito.
5. Celebrava la Pasqua un giorno prima di quella del Tempio, come è
scritto nel vangelo di Giovanni, l’unico dei quattro evangelisti presente
all’Ultima Cena. L’apostolo Matteo, presente a quella cena, non è l’autore del
vangelo che porta il suo nome, perché, a giudizio quasi unanime degli
specialisti, quel vangelo deriva da quello di Marco, e quindi l’estensore di
quel vangelo non era testimone oculare del ministero di Gesù.
6. Gesù seguiva il rito pasquale degli Esseni e dei Terapeuti, ambedue
osservanti dei precetti vegetariani pitagorici, e perciò contestatori dei
sacrifici di sangue e del Tempio di Gerusalemme.
7. Si proclamò ripetutamente figlio di Dio, una bestemmia grave che
gli Ebrei punivano con la pena di morte prevista dalla Bibbia.
La contrapposizione di Gesù alla Bibbia raggiunse toni tragici nella sua crocifissione, quando Gesù gridò: Padre mio, perché mi hai abbandonato? Quel padre che egli vedeva come genitore di amore incondizionato, si rivelò invece un duro padre biblico che esigeva dal suo figlio unigenito l’espiazione della colpa di Adamo, che gli aveva disobbedito mangiando il frutto proibito con Eva.
Gesù, infine, dalla croce affidò il discepolo che più amava, Giovanni, a sua madre Maria, presente e straziata dal suo amore verso il figlio, e confermò il suo orientamento definitivo verso la donna quando apparve risorto a una sua amica, Maria Maddalena. Egli era salito a una nuova dimensione, dove le donne, sua madre e l’amica, erano diventate il suo punto di riferimento.
Quel pesante imbroglio dottrinale dimostra come la violenza fosse penetrata molto profondamente nella mentalità degli Ebrei, i quali la consideravano uno strumento sacro di salvezza, anziché riconoscerla per ciò che realmente essa è: odio e voglia irrefrenabile di uccidere e distruggere. Con la Bibbia la violenza diventò sacra e necessaria alla salvezza, e solo una forte presa di coscienza potrà toglierla dalla storia.
8. Il sesso nel mondo neolitico
Prima dell’arrivo degli Ebrei, i popoli di Canaan abitavano i
territori del Medio Oriente e adoravano diverse divinità, tra cui tre Dee principali:
Anat, Athirat e Astarte. Gli Ebrei le sostituirono con un unico Dio maschio, Javè.
Quel passaggio della divinità dal femminile al maschile può sembrare un fatto
esclusivamente religioso, mentre in realtà esso rispecchia una concezione negativa
della donna considerata stolta, folle e rovina dell’uomo. L’azzeramento della
dignità della donna è espressa nel libro
sapienziale della Bibbia, l’Ecclesiaste,
ora chiamato Qohèlet, che afferma testualmente
(7,26):
La donna è più amara della morte, perché essa è un laccio, il suo cuore è una rete e catene le sue braccia. Chi è gradito a Dio ne può scampare, ma il peccatore ci resta preso.
Per riportare la donna alla sua dignità originaria, ci volle un intervento diretto di Dio, il quale inviò a Maria l’arcangelo Gabriele che la salutò come piena di grazia. La narrazione evangelica di Luca mostra il contrasto culturale tra la vecchia cultura neolitica e quella dei tempi di Maria, la quale domandò come fosse possibile concepire un figlio senza aver avuto rapporti con un uomo: duemila anni fa era ben noto che la procreazione avveniva con un rapporto sessuale. Gabriele le rispose con un concetto risalente alla vecchia cultura neolitica: il sesso è irrilevante, la potenza dell’Altissimo la adombrerà e lei concepirà un figlio. Maria gli risponde di nuovo come una ebrea del suo tempo: Sono una serva o schiava di Dio, doule nel testo greco, e quindi accetta obbediente la volontà del Dio maschio.
Nel mondo neolitico il sesso si viveva con gioia e piacere, come testimoniano numerosissimi reperti archeologici, per cui la morte era considerata come una pausa tra la vita appena vissuta e una nuova vita rigenerata dalla Grande Madre. Questo ci porta a pensare che il morente non avesse molta paura di morire, sicuro di poter vivere una nuova vita altrettanto felice di quella che stava finendo.
In seguito, quel mondo fu ricordato
come Età dell’oro da poeti e da libri sacri che ne parlavano come di un
paradiso in terra, un Eden. Il poeta greco Esiodo (circa 750 a.C.), nella sua
opera Le opere e i giorni scrive di:
… Un'aurea stirpe di mortali che vivevano con l'animo sgombro da angosce, lontani dalle fatiche e dalla miseria.
Di un mondo felice del passato scrissero
anche diversi autori romani, tra cui Orazio, Virgilio, Seneca, Tibullo e Ovidio,
il quale nelle sue Metamorfosi
affermava:
Fiorì per prima l'Età dell'oro; spontaneamente, senza bisogno di giustizieri né di leggi, si onoravano la lealtà e la rettitudine.
La vita di quell’età è sempre descritta nel suo svolgersi in luoghi ricchi
di acque, alberi e animali, come le ricerche di archeologi e antropologi hanno confermato.
Altre ricerche portano alla conclusione che nell’epoca arcaica il sesso era
vissuto in maniera molto diversa rispetto ad oggi: non aveva nulla di volgare o
sporco, ma era una festa comunitaria, preparata con cura e abbigliamenti
ricercati. Il rapporto sessuale avveniva nel rispetto reciproco e nella libertà
di scelta sia per gli uomini che per le donne. Era uno scambio di piacere che
riaffermava il legame sacro tra gli esseri umani, come spiega magistralmente Riane Eisler nel suo libro Il piacere è sacro.
L’autrice esplora il rapporto fra sessualità e spiritualità nella preistoria, descrivendolo come un vivere gioioso, fondato sullo stare insieme, lavorare e amare. La nostra società invece, sotto la spinta della competizione, riduce la sessualità a merce di scambio, conquista o affermazione di potere. Nella preistoria, invece, l’unione dei due sessi rappresentava una porta di accesso al sacro nella forma più alta. Allora si credeva che il concepimento non derivasse dall’accoppiamento della donna con l’uomo, poiché era la Grande Madre a decidere quale figlio o figlia mandare a quale donna. Non esisteva il matrimonio, la discendenza era matrilineare e di conseguenza non esisteva né la paternità né l’autorità patriarcale sui figli.
9. Guerra e pace col sesso
Subito dopo il libro di Qohèlet, nella Bibbia troviamo il libro
chiamato Cantico dei Cantici, come
dire il più bel cantico, che a tutti
gli studiosi appare come un oggetto misterioso per la descrizione sublime e
audace dell’amore carnale, totalmente diverso dalla cultura biblica. Il Cantico
fu attribuito a Salomone forse perché è talmente mirabile che si riteneva che solo
Salomone con la sua leggendaria sapienza potesse averlo composto. Sulla estraneità
del Cantico al resto della Bibbia gli studiosi concordano, e già nel secondo
secolo d.C. il gran rabbino Aqibah dichiarava
ammirato:
L’universo intero non vale il giorno in cui Israele ebbe il Cantico dei Cantici.
Una infinità di poeti hanno dedicato all’amore poesie bellissime, ma
neppure Dante, Petrarca e Goethe raggiunsero l’altezza vertiginosa del Cantico.
La brama ardente d’amore tra la giovane sposa e il giovane sposo è descritta
sullo sfondo di elementi naturali che riporto alla lettera in questi pochi passi:
-
Io sono bruna ma formosa, mi ha abbronzato il sole.
-
Un sacchetto di mirra è per me il mio diletto, pernotta fra i miei seni… e
anche il nostro letto è florido.
-
Ravvivatemi con focacce d’uva, rianimatemi con cedri: io sono malata d’amore.
-
Sono entrato nel mio giardino, mia sorella mia sposa… aprimi, sorella mia,
amica mia.
-
Le curve dei tuoi fianchi sono come monili… il tuo ombelico è una coppa
rotonda… il tuo ventre è un mucchio di grano… i tuoi seni somigliano a due
caprioli.
-
Se qualcuno avesse potuto darti a me come fratello… incontrandoti all’aperto,
avrei potuto baciarti… ti avrei condotto nella casa di mia madre, tu mi avresti
iniziata.
-
Insaziabile come la morte è l’amore… le sue sono vampe di fuoco… molte acque
non possono spegnere l’amore.
Stranamente la sposa invoca lo sposo chiamandolo fratello e altrettanto fa lo sposo chiamandola sorella, la quale lo conduce nella casa di sua madre per essere iniziata. Sono situazioni per noi conturbanti, che però dovevano essere normali nel mondo arcaico. Del resto, il Dio egizio Osiride era sposo di sua sorella, la Dea Iside, e i faraoni sposavano le loro sorelle. Anche nella cultura greca Giove aveva sposato la più giovane delle sue tre sorelle, Era o Giunone, protettrice dei matrimoni, dei parti e della fedeltà coniugale.
Negli anni Sessanta si gridava uno slogan che oggi si rivela profonda verità:
Fate l’amore, non fate la guerra.
La pacificazione interiore e la felicità non potranno mai essere raggiunte contro natura, come noi facciamo oggi col sesso, vissuto come eccitazione, conquista, numero di persone possedute, forme di piacere solitario o visite ai siti porno. Il sesso invece dovrebbe essere vissuto come emozione rovente che brucia tutte le scorie dell’esistenza. Negli ultimi millenni il sesso è stato invece dominio del sistema patriarcale che ha ridotto la donna a schiava, serva, prostituta e, nel migliore dei casi, a moglie per procreare figli.
L’invasione indoeuropea ha represso il sesso, la pulsione più forte e fondamentale della vita, generando l’infelicità umana e, secondo me, anche la paura della morte. Gli studiosi concordano unanimemente sul fatto che le religioni si fondano sulla paura della morte, ma non spiegano come questa paura abbia avuto origine.
Io penso che quella
paura derivi dalla repressione sessuale che ci fa vivere male, e allora speriamo
di poter vivere più a lungo o di nuovo per poter essere felici.
La pace interiore si potrà raggiungere solo restituendo al sesso la purezza e la bellezza elargite da madre natura. La pace esteriore, cioè la fine delle guerre, verrà come logica conseguenza della pace interiore. Difatti, le guerre potrebbero essere valvole di sfogo del mal di vivere.
Antropologi, archeologi e una infinità di scienziati hanno indagato il mondo neolitico, ma manca un testo scritto per raccontarci quel mondo. Un vuoto può essere colmato dal Cantico, che si trova in un libro inaspettato: la Bibbia.
Questo conferma che la pulsione sessuale è così possente che non c’è
religione, legge o società che la possa reprimere, perché essa è origine della
vita e del piacere.
10. I guasti della repressione sessuale
Le orde indoeuropee che invasero l’Antica
Europa, l’India e parte del Medio Oriente, imposero il dominio assoluto del
maschio sulla donna. In alcune tombe scoperte in Iraq e Russia meridionale sono
stati ritrovati scheletri di donne e uomini uccisi, o persino sepolti vivi assieme
al capo defunto.
Il bisogno di sfogo sessuale divenne pratica sistematica di stupro nelle guerre, con i soldati che stupravano donne giovani, ma anche vecchie, uomini e bambini. La libertà di stupro riservata ai vincitori è uno dei moventi che invogliava i maschi a partecipare alle guerre. Nel dicembre del 1937, l’esercito giapponese conquistò Nanchino, allora capitale della Cina, e uccise circa trecentomila persone, per lo più civili inermi, stuprando ventimila donne, incluse bambine e anziane. Gli stupri spesso avvenivano in pubblico, talvolta di fronte ai mariti o a componenti della famiglia costretti a guardare. Subito dopo sia le donne che i familiari venivano uccisi, a volte dopo che padri e fratelli erano stati costretti a violentare le proprie figlie e sorelle. I soldati giapponesi cercavano ragazze di casa in casa, le catturavano e le portavano nude dai compagni, sottoponendole a stupri di gruppo. Dopo l’abuso, le donne venivano spesso uccise, prima infliggendo loro mutilazioni recidendo i seni, infilando canne di bambù, baionette, coltelli o altri oggetti nella vagina e sventrando le più giovani.
Il fenomeno dell’uccisione di persone sembra avere comunque una base antropologica
che va ben oltre gli Indoeuropei, tanto che si potrebbe ipotizzare una comune
origine siberiana di popoli che migrarono fino al Giappone e al Nord America, dove
giunsero intorno al 12.000 a.C. Difatti, Aztechi, Maya e Incas conducevano guerre
per catturare prigionieri da offrire in sacrificio agli Dei, che i sacerdoti compivano
squarciando loro il petto con un pugnale di ossidiana e strappando il cuore
vivo. Gli Aztechi, inoltre, sacrificavano delle vergini ai loro Dei bellicosi e
irati.
Oltre al dolore delle vittime e alla schiavitù dei prigionieri di guerra, dobbiamo considerare i guasti e i danni che la repressione sessuale ha provocato in tempi di pace su miliardi di persone. Tra i guasti più gravi si possono elencare omicidi, suicidi, fobie, paure delle donne di rimanere incinte, ricorso all’aborto con mezzi squallidi e pericolosi, angosce sessuali inaudite, che, se unite ad angosce religiose, sono catastrofiche.
Quando avevo diciotto anni studiavo in un seminario cattolico ed ero stremato da una forte tensione nervosa causata da immagini di donne nude che affollavano la mia mente. Secondo i preti erano tentazioni mandatemi da Satana per dannare la mia anima. Ne parlai ripetutamente col padre spirituale e alla fine i superiori mi mandarono dallo psichiatra dr. Leone Nardone. Per mia fortuna quel bravo e onesto psichiatra capì la mia situazione e scrisse per i miei superiori un rapporto, avvertendomi prima, nel quale io ero indicato come non adatto alla vita sacerdotale, e così mi liberò dalle mani dei preti. Scrivo ciò non per uno sfogo tardivo - ho raccontato nei dettagli quella vicenda in altri miei libri - ma per sottolineare che chi soffre più di tutti per il sesso sono proprio i preti, vittime di precetti sessuali aberranti e, al tempo stesso, carnefici che impongono quei precetti ai fedeli. Auguro loro di conquistare la libertà, rompendo con coraggio le catene come ho fatto io. Il sesso è troppo importante per lasciarlo in mano ai preti.
D’altra parte, ho conosciuto uomini e donne che avevano vissuto molte avventure sessuali e che da anziani si dichiaravano insoddisfatti della vita, perché non potevano più continuare quelle avventure che rimpiangevano e raccontavano ripetutamente in modo ossessivo. Questo dimostra che il sesso da loro praticato era una dipendenza che, come tutte le dipendenze, non può dare la felicità. Ho conosciuto anche diversi uomini anziani che confessavano con amarezza di aver desiderato invano una vita sessuale appagante. Ma ho conosciuto anche persone che affermavano di aver vissuto una vita serena e accettavano la morte come un evento naturale.
Sul sesso il pitagorismo si staccava da tutte le dottrine e pratiche dell’antichità, raggiungendo altezze e finezze finora non comprese. Per Pitagora il sesso era un argomento d'insegnamento, non un tabù nascosto con ipocrisia. Egli lo considerava una forza incoercibile da godere assieme alla propria moglie con delicatezza, tenerezza, senza soprusi né bestialità, mai in stato di ubriachezza, un piacere cui era meglio dedicarsi nelle lunghe notti d’inverno. Secondo lui, il sesso e la donna erano doni della natura da gustare in famiglie serene, limitando la procreazione per poter avere prole sana e mezzi adeguati per allevarla.
Il suo contemporaneo Buddha, invece, giudicava il desiderio di una donna come perdizione per i suoi monaci, ai quali era proibito anche stringere la mano di una donna. Tra gli allievi di Pitagora c'erano invece coppie sposate e non si praticavano rapporti omosessuali tra maschi, un uso allora corrente in Grecia tra un maschio adulto e uno giovane, come fece anche Platone col suo amico Aster.
A Crotone Pitagora sposò Teano, che aveva circa venti anni quando lui ne aveva circa sessanta, ed ebbero vari figli, tra cui l’ultimo, Telauge, nato quando il padre ne aveva circa ottanta. Teano, che aveva avuto con Pitagora un grande maestro di sesso, dimostrò un’audacia nel sesso che stupiva le sue amiche, e quando quelle le chiesero in quanti giorni una donna diventasse pura dal contatto con un uomo, lei rispose:
Dal contatto del proprio uomo, diventava
pura sùbito, dal contatto dell'uomo altrui, mai.
Alle donne che stavano per unirsi col proprio uomo, Teano raccomandava
di deporre il pudore insieme alle vesti, e, quando si alzavano, di riprenderlo
con esse. Esortava così la donna a godere appieno della passione erotica, un
insegnamento che le derivava dal marito, il quale non era il freddo matematico
che noi immaginiamo, ma uno che sapeva vivere. A mio parere, il godimento
sessuale pieno e disinibito raccomandato da Teano, era vissuto come un viaggio insieme verso una dimensione
superiore di coscienza. A questo sembra alludere Porfirio quando scrive:
E quanto al piacere, Pitagora non ammetteva quello volgare e ammaliatore, ma quello sicuro, più serio possibile che si conserva puro da calunnia e non è causa di rimorso per l'avvenire.
Nel mondo neolitico il sesso era vissuto come una festa comunitaria tra gli abitanti del villaggio che erano pochi e si conoscevano fin dalla nascita, cosa che oggi non è più proponibile. Io penso che il sesso debba essere vissuto nella libertà ed elevatezza che può dare lo sconfinato Universo Emozionale, la vera patria di noi tutti. Difatti, ritengo compito di tutta l’umanità impegnarsi per arrivare a un sesso felice, libero da angosce e da sensi di colpa. Indico la strada, ma non mi azzardo a indicare norme di comportamento in una materia così delicata e difficile.
11. La distruzione di tutte le armi
La
pacificazione interiore della persona richiede tempi lunghi, anche se oggi i
movimenti omosessuali, le unioni di fatto, il sesso praticato liberamente e la
proliferazione di siti pornografici con tutte le loro stranezze, puntano verso una
dimensione emozionale, l’unica che mi sembra in grado di soddisfare la brama
sessuale.
Intanto, però, l’umanità vive schiava della paura delle guerre e triste per la perdita di milioni e milioni di persone che erano figli, fratelli, padri, mariti e soprattutto madri che, quando i loro figli muoiono nelle guerre, diventano morte viventi: sopravvivono nel corpo, ma con la morte nell’anima. Il pianeta intero corre oggi il rischio di una catastrofe nucleare, alimentata dai conflitti in Medio Oriente e in Ucraina. Ciò dimostra che tutte le ideologie, le religioni e i governi della storia, monarchici, tirannici, democratici o altro, non sono stati capaci di dare al mondo la pace, per cui possiamo affermare:
O noi distruggiamo le armi o le armi distruggeranno noi.
La
vera fucina delle armi era ed è nella testa dei maschi, i quali, aggressivi per
il testosterone o per la voglia di dominare sugli altri o per qualunque altro
motivo, hanno sempre scatenato le guerre a rischio della loro stessa vita. Le
infinite guerre della storia dimostrano che il bisogno dei maschi di dominare,
distruggere e uccidere è oggi più vivo che mai. I governi continuano a produrre
armi in misura sempre maggiore, mentre i popoli, sebbene desiderino la pace, la
vedono sempre più lontana.
Da circa due secoli spiriti illuminati hanno scritto contro le guerre, ma i risultati sono stati deludenti. Lo stesso può dirsi dei generosi tentativi di costruire una pace duratura con la creazione nel 1920 della Società delle Nazioni, la prima organizzazione intergovernativa per promuovere il benessere e migliorare la qualità della vita. Il suo impegno principale era prevenire le guerre attraverso la gestione diplomatica dei conflitti e il controllo degli armamenti.
L’ONU, fondata nel 1945 alla fine della seconda guerra mondiale, ampliò l’obbiettivo della pace, includendo la protezione dei diritti umani, la fornitura di aiuti umanitari, la promozione dello sviluppo sostenibile e il rispetto del diritto internazionale. Però, i cinque membri permanenti del suo Consiglio di Sicurezza: USA, Russia, Cina, Francia e Inghilterra, posseggono migliaia di armi nucleari. Ma, poiché ognuno dei cinque membri dispone di un veto che blocca qualunque decisione degli altri quattro, la pace nel mondo è rimasta un vano desiderio.
12. Origine della distruzione delle armi
Nel
1950 avevo nove anni e guardavo mio padre, mastro Vincenzino, un fabbro
molto apprezzato e rispettato, che picchiava col maglio una zappa di ferro grezza
arroventata nella fucina, mentre diverse persone si gustavano il suo lavoro. Quando egli ebbe terminato, uno dei
presenti tirò fuori un vecchio revolver e chiese a mio padre di aggiustarglielo,
dicendo che aveva bisticciato con qualcuno e voleva sparargli. Mio padre prese
l’arma, fece finta di guardarla, la poggiò sull’incudine e con un colpo di
maglio schiacciò la canna. Gli restituì il revolver e con tono deciso disse: Adesso gli puoi sparare. L’uomo se ne
andò senza fiatare.
Una decina di anni più tardi, il mio paese, Sant’Andrea Jonio, volle erigere un monumento ai caduti di guerra, e fu commissionata una statua in bronzo raffigurante la vittoria alata, che tiene una corona di fiori con in mezzo una corta spada, il gladio. Quella statua fu depositata nell’officina di mio padre in attesa dell’inaugurazione, ed egli ebbe l’audacia di segare la spada e buttarla tra i ferri vecchi. Quando gli feci notare che lo scultore aveva voluto la spada, mi disse:
Basta armi, basta guerre!
Molti anni dopo, a fine del 2015, fondai con pochi amici a Crotone la Nuova Scuola Pitagorica, di cui sono lo Scolarca, che significa caposcuola, titolo che nell’antichità si dava ai capi delle scuole filosofiche.
Dal 2016 in poi abbiamo
celebrato ogni anno un incontro in vari comuni per la distruzione di tutte le
armi di guerra, rompendo su una incudine di fabbro armi simboliche di plastica,
esclamando:
Basta armi, basta guerre!
A ideare quella manifestazione ero arrivato grazie all’esempio di mio
padre e alle indagini che avevo condotte sull’etica di Pitagora, che aborriva
le armi e attribuiva una maggiore dignità alla donna portatrice di pace, mentre
l’uomo è portatore di guerra. Oggi penso che quella mia decisione, fu ispirata dall’esempio
di mio padre e dal mio sdegno per il numero sterminato di vittime mandate al
massacro per accrescere il potere dei governanti. Mi fa molta rabbia sentire
persone perbene affermare che il mondo non cambierà mai, che sarà sempre
violento, che le guerre ci saranno sempre e che distruggere tutte le armi è
semplicemente impossibile, perché tutti i governi ne finanziano la costruzione.
Sono perfettamente cosciente di tutte queste difficoltà, ma sono anche convinto che il cambiamento radicale che andiamo proponendo potrà avvenire solo con un movimento mondiale delle coscienze, anzi un sommovimento, capace di scardinare i valori del passato, valori troppo lodati, ma incapaci di fermare la violenza e le guerre, anzi loro fautori. I trattati per il disarmo sono stati sempre violati, mentre la distruzione delle armi sarebbe la novità storica che impedirebbe le guerre e attuerebbe il desiderio dei popoli di pace e benessere.
13. Un sistema economico arretrato
La spesa globale per le armi è stata stimata
nel 2023 in 2,4 trilioni di dollari, cioè duemila quattrocento miliardi, una
cifra inimmaginabile e sottostimata perché espressa in dollari. Ma un dollaro a
New York è insignificante, mentre il suo controvalore in India può forse nutrire
una persona per un giorno. A quella cifra gigantesca bisogna aggiungere i costi
incalcolabili per la riparazione e ricostruzione di edifici, case, viadotti,
linee elettriche, dighe, ponti, e per pensioni di guerra, invalidità e chissà
quant’altro.
Per contro, una nuova economia che si basi su principi etici di libertà e cooperazione potrebbe cambiare il mondo. Io ho studiato anche economia e sono giunto alla conclusione che gli economisti, nonostante i numerosi cambiamenti avvenuti, ragionano ancora come quando la moneta non esisteva e la raccolta delle imposte avveniva annualmente, prelevando una parte dei prodotti di agricoltura come grano, olio e della pastorizia come formaggio, vitelli, capretti e agnelli.
Ancora oggi i bilanci delle società e degli Stati sono calcolati su base annua, e ciò può essere utile per l’amministrazione, ma risulta limitativo per gli Stati, i quali, spinti dalle socialdemocrazie, devono pagare molte cose che una volta non pagavano come pensioni, cure mediche, scuole, sovvenzioni ai meno abbienti, ai vecchi e agli ammalati. Per pagare tutto ciò, gli Stati devono mettere imposte e tasse sui cittadini che le pagano con una parte dei loro guadagni. Tuttavia, esse non bastano per i bisogni sempre crescenti, e gli Stati emettono debito pubblico, sul quale poi devono pagare gli interessi. Si crea così un circolo vizioso: nuove imposte sono necessarie per pagare quegli interessi.
Dopo la scoperta dei metalli, si usavano l’oro e l’argento come moneta, ma poi il loro impiego fu affiancato dalla carta moneta introdotta dalla Cina, il che favorì l’aumento degli scambi. Le successive evoluzioni dei sistemi monetari hanno sganciato completamente la moneta sia dal metallo che dalla stessa carta moneta, e oggi gran parte delle transazioni avviene tramite pagamenti elettronici. Nonostante questa rivoluzione, gli Stati sono ancora fermi al vecchio sistema di tasse e imposte, per pagare le quali bisogna che un cittadino abbia prima un lavoro retribuito. Io penso che se le somme di danaro sono realmente necessarie, lo Stato dovrebbe emettere la moneta occorrente, e non ci sarebbe inflazione, se quelle somme vengono impiegate correttamente.
Un tale cambiamento richiederebbe comunque l’accordo dei maggiori Stati del mondo, accordo che sarà comunque necessario nel prossimo futuro, perché le nuove tecnologie ridurranno sempre di più la necessità di forza lavoro e molte persone si troveranno senza alcun reddito su cui pagare le imposte.
14. La vita gratis
Ho scritto che il sesso è troppo importante per lasciarlo in mano ai preti, e ora mi sento di affermare che l’economia è troppo importante per lasciarla in mano agli economisti, visto l’enorme numero di abitanti del pianeta, tutti desiderosi di vivere alla maniera occidentale, che richiede un alto consumo di risorse ed energia. Nel 1975 la popolazione mondiale era di circa quattro miliardi, oggi è raddoppiata in otto miliardi, una crescita enorme favorita dal sottosviluppo e dalle religioni. L’economia, guidata dai maschi così come la politica e le religioni, non è in grado di gestire questa emergenza che solo l’etica universale può affrontare con possibilità di successo.
Pertanto propongo l’abolizione mondiale di tutte le tasse e imposte e l’emissione
della moneta necessaria per affrontare i bisogni essenziali di tutti,
destinando ai popoli le immense risorse oggi destinate ad armi e guerre. Un
mondo dove per tutti sarà obbligatoria l’istruzione fino al conseguimento di una
laurea: i tempi sono maturi per un cambiamento che aprirebbe ai giovani la
mente, dando loro quella sicurezza che nasce dalla cultura. In realtà noi oggi
viviamo in un mondo feudale, dove la classe dominante è rappresentata da quelli
che hanno studiato. Quelli che non hanno un titolo di studio, la stragrande
maggioranza, sono e si sentono inferiori a quelli che hanno studiato: la parità
dei diritti di tutti rimane in sulla carta, non è reale.
I miei genitori, parenti e vicini di casa erano le migliori persone
del mondo, ma non avevano studiato ed erano dominati da pochi che erano al
potere, ai quali dovevano ubbidire, anche se proprio quelli li affamavano e li mandavano
a morire in guerra. Oggi io posso scrivere queste pagine perché i miei genitori
mi hanno fatto studiare con enormi sacrifici, e così ho acquisito una cultura
che comprende varie discipline e lingue antiche e moderne. Da una parte sono
rimasto fedele ai principi trasmessimi dai genitori, soprattutto a quello di aiutare sempre gli altri. D’altra parte,
ho potuto indagare a fondo il modo di vivere praticato dai miei genitori, che grazie
alle mie ricerche è risultato corrispondente all’etica universale.
Vita gratis significa soprattutto che le persone non dovranno più affrontare le incertezze del futuro come non avere una casa, vivere nella paura di non farcela economicamente a sostenere la famiglia, non avere le cure e le medicine necessarie, morire di fame o annegare nel disperato tentativo di approdare in terre più ricche su barche di fortuna. Sono convinto che sia un obbligo morale cercare di realizzare una vita migliore per tutti, ma le religioni, la politica e la finanza continuano a esercitare il loro potere per dominare sugli altri, favorendo così una feroce competizione in tutti i settori.
Da dove iniziare e come procedere per cambiare questo mondo invivibile?
15. Il materno per una vita migliore
Chiamo il materno la capacità naturale che hanno le donne di generare,
partorire, allattare e allevare i figli, proteggendoli, aiutandoli e
consigliandoli poi sempre in qualunque situazione. L’uomo non ha l’esperienza
fisica del concepimento, della gestazione di nove mesi, del parto, dell’allattamento
e dell’attenzione continua che i bambini ricevono dalle madri.
In questo senso Pitagora parlava di una maggiore dignità della donna rispetto all’uomo, intendendo per
dignità la capacità naturale di generare e aiutare sempre i figli, capacità che
il maschio non ha, e perciò fa le guerre uccidendo figli di mamma, convinto di
fare il suo dovere in difesa della patria o per la gloria della vittoria: sono
cose che a me sembrano scuse per soddisfare il piacere di fare le guerre.
Mia zia Antinisca Ranieri mi
raccontava con orgoglio la sua abilità nel far riformare suo fratello Ciccio
per non farlo partire per il fronte della prima guerra mondiale. Quel suo fratello
era bello e sano e lei si consultò con le donne del vicinato per escogitare un
modo di farlo apparire ammalato e debole alla visita di arruolamento all’esercito.
Lo mise allora a dieta ferrea, gli faceva bere molto aceto e fasciava il suo
petto con le fasce che si usavano per i neonati, stringendole forte fino a
farlo piangere. Alla visita di leva, Ciccio fu riformato per insufficienza
toracica e la zia finché visse se ne vantò:
La guerra l’ho vinta io che ho salvato mio
fratello. Cosa aveva fatto lui di male per andare a morire lontano?
Negli ultimi millenni l’uomo è stato aggressivo, violento e guerrafondaio, mentre la donna ha perso parte della sua capacità di aiutare e proteggere sempre la vita. È stato un processo lungo e inesorabile al quale la donna si è adeguata accettando i valori maschili. Un esempio illuminante è quello delle madri di Sparta. Ai figli che partivano in guerra, esse affidavano lo scudo esortandoli a ritornare con lo scudo, cioè vittoriosi, o sopra lo scudo, che si usava per riportare i caduti a casa: non doveva mai tornare senza lo scudo, abbandonato per fuggire dal fronte.
Quelle madri erano
mascolinizzate come molte donne di oggi, che sono diventate competitive e
quindi incapaci di aiutare la vita in ogni situazione.
Il materno è la capacità naturale di
pacificare e rasserenare, consigliare e guidare con amorevolezza sia i figli che
le figlie. Ultimamente la liberazione delle donne ha fatto grandi progressi, ma
si parla sempre di pari diritti tra i due sessi. Tuttavia, i diritti nascono dalle
leggi, che sono emanazioni del potere legislativo maschile, che a volte sono
contro l’etica, come le leggi razziali. Invece, il comportamento delle donne nasce
dalla natura, tanto lodata a parole e molto poco rispettata nei fatti.
Tutte le madri del mondo dovrebbero riacquisire la capacità di pacificare i popoli. Per questo mi alzo davanti al tribunale della storia a nome di tutte le vittime ed esorto le donne a scendere in campo per salvare questo mondo.
Un altro esempio del degrado maschilista della donna ci viene dal mito greco di Atena, forse la Dea più venerata dai Greci e dai Romani, i quali la chiamavano Minerva. Lei era nata balzando fuori armata di lancia ed elmo dalla testa del padre Giove, e partecipava alle guerre a volte uccidendo spietata con la folgore del padre. Atena rimase sempre vergine e il grande tempio eretto in suo onore ad Atene fu chiamato Partenone, che significa Verginale, il che sembra suggerire:
Fate la guerra, non fate l’amore.
La Dea volle ringraziare gli Ateniesi per il culto a lei dedicato e
donò ai maschi il cavallo per la guerra e alle donne l’albero di ulivo, simbolo
della pace.
Quell’antico mito, attualizzato e reinterpretato, dice chiaramente che la guerra nasce dalla testa del maschio e può arrivare a distruggere il materno della donna, la sua dote fondamentale con cui lei protegge e aiuta la vita in ogni situazione.
I pochi esempi storici di donne al potere come Cleopatra, Elisabetta I e la Thatcher, dimostrano che esse erano donne nel corpo, ma maschi nella voglia di dominare, a costo di uccidere i propri parenti e di scatenare le guerre.
16. Magna Carta della Pace
È giunta l’ora di attuare quei cambiamenti
che potrebbero portare l’umanità verso quella vita da sempre sognata, ma ancora
considerata irrealizzabile. Prima di tutto credo che sia necessario ridimensionare
la paura della morte, accettando il ciclo naturale di nascita e morte. L’umanità
non ha ancora accettato che l’Essere è Eterno
divenire. Aristotele, considerato il caposcuola del razionalismo, insegnava
che Dio è il motore immobile di tutte
le cose, una evidente contraddizione presentata
con argomenti per nulla convincenti. Io penso, lo ripeto, che la paura della
morte possa nascere, oltre che dalla paura dell’ignoto, dal fatto che viviamo
male e vorremmo non morire per poter vivere felici, o anche perché temiamo che
dopo la morte dovremo affrontare giudizi severi e pene eterne.
I cambiamenti che ho suggerito per finanza, politica e distruzione delle armi richiedono il potere degli Stati per essere attuati, un potere che però è concentrato nelle mani dei maschi. Dobbiamo perciò mandare ai governi del mondo le donne, o meglio, il materno, riconosciuto e accettato da donne e da uomini che bramano unirsi in questa straordinaria avventura.
I movimenti rivoluzionari del passato hanno portato al comando personaggi che avevano lo scopo di prendere il potere e che hanno peggiorato le cose. I cambiamenti radicali che io suggerisco sono troppo importanti per essere decisi sulla base di una ideologia o di un capo carismatico o religioso. Per questo motivo affermo che ci vuole un sommovimento mondiale delle coscienze delle persone animate dalla ferma volontà di cambiare in meglio le cose.
Un tale messaggio è DOC, nasce in Calabria, una terra che ha saputo resistere a tutte le sopraffazioni e invasioni straniere, preservando il tesoro dell’etica universale sotto le rovine della sua decadenza.
La Calabria, difatti, ha subito venti occupazioni e dominazioni straniere. Eccole:
1, Greci; 2,
Alessandro il Molosso, re dell'Epiro; 3, suo nipote Pirro con gli elefanti; 4,
Bruzi; 5, Siracusani con Dionisio; 6, Cartaginesi con Annibale, acquartierato a
Capo Lacinio per otto anni; 7, Spartaco con gli schiavi; 8, Romani; 9, Alarico
con i Goti; 10, Longobardi; 11, Arabi; 12, Bizantini; 13, Normanni; 14, Svevi;
15, Angioini; 16, Aragonesi; 17, Spagnoli; 18, Borboni; 19, Francesi; 20,
Piemontesi.
La Calabria, però, non ha mai fatto guerra a nessuno né in casa né fuori casa, perché i Calabresi non hanno la guerra nella testa. E non deve destare meraviglia che io attribuisca alla Calabria la capacità di generare un sommovimento di tale portata, perché essa lo ha già fatto in passato. Difatti, nel VI secolo a.C., nella polis di Locri furono scritte le Tavole di Zaleuco, contenenti la proibizione della schiavitù sia di uomini che di donne. Fu la prima legge al mondo che riconobbe la libertà delle persone, legge che molti secoli dopo fu applicata nel 1861 in Russia dallo zar Alessandro II, il Liberatore, e nel 1865 negli USA da Lincoln. Questo lungo e inarrestabile cambiamento era partito dalle donne italiche, nate libere, che imposero la loro libertà ai loro mariti, coloni provenienti dalla Grecia, dove la schiavitù era un fatto normale. Io sono sicuro della correttezza del mio messaggio che nasce dall’anima eterna della Calabria, quella di tutto un popolo rappresentato da Pitagora, Cassiodoro, Gioacchino da Fiore, San Francesco di Paola, Telesio e Campanella.
Devo ammettere,
però, che tutto ciò ha bisogno di essere canalizzato in un movimento radicalmente
nuovo che superi le contrapposizioni paralizzanti dei partiti di oggi tra
maggioranze e opposizioni in perpetua lotta tra di loro. Hitler e Mussolini
andarono al potere votati dai loro popoli, stufi di governi incapaci di
decidere a causa delle contrapposizioni agguerrite dei partiti politici.
I problemi dell’umanità nascono dall’inosservanza dell’etica universale dei cinque principi, per cui nascono poi le lotte dentro gli stessi partiti, tra le religioni, gli Stati e i popoli che si ispirano a regole etiche diverse. Stalin e Hitler furono nemici mortali, ma non si lottarono per imporre le loro regole nella matematica, perché sia in Russia che in Germania, come in tutto il mondo, era da tutti riconosciuto il valore universale delle regole matematiche.
Finiranno allora le infinite lotte e discussioni che oggi dilagano in ogni situazione e perfino dentro le stesse famiglie e possiamo dire che l’umanità troverà la pace quando tutti riconosceranno e praticheranno il modello unico dell’etica, il Pentalogo, il quale previene il sorgere di ogni conflitto.
Perciò saluto il Movimento Pitagorico della Pace, che donne e uomini volenterosi e di animo libero potranno creare nei loro paesi. Questo movimento dovrebbe attuare i grandi cambiamenti che andiamo suggerendo, al fine di realizzare i sogni profondi dell’umanità.
In questa visione di un mondo pacificato, seguo la stella regolare a cinque punte, quella che i pitagorici usavano come segno di riconoscimento, stella che viene ora usata a Natale in tutto il mondo come segno di pace. Nel corso della storia essa è decaduta fino a diventare simbolo di satanismo, rivoluzione, anarchia, ma anche di aspirazione a un mondo migliore, e così la troviamo nelle bandiere ed emblemi di circa centoventi dei circa duecento Stati del mondo, tra cui Russia, Cina, Nord Corea, Stati Uniti e molti paesi islamici.
Nessuno conosce l’origine di questo simbolo che è finito anche su carri armati, aerei, sottomarini o stellette delle divise militari di molti eserciti. I pitagorici la chiamavano Igea, la salute, e alcuni pitagorici attribuirono la sua origine alla intersezione di triangoli regolari, una spiegazione che a me sembra fatta a tavolino. Io penso che essa possa derivare dal mondo arcaico, il quale sapeva della stella marina a cinque punte che, fatta a pezzi e buttati in mare, si riforma completa da ogni pezzo. È fenomeno raro del mondo animale, che richiama l’eternità del ciclo naturale di nascita e morte.
Non deve sorprendere che il mondo arcaico conoscesse quel fenomeno di autorigenerazione, perché una conoscenza altrettanto avanzata la troviamo nel mito arcaico di Prometeo, che Zeus punì per aver osato rubargli il fuoco per donarlo agli uomini. Prometeo fu incatenato a una roccia del Caucaso, dove la mostruosa aquila Aithon gli mangiava di giorno il fegato che ricresceva durante la notte. Oggi sappiamo che il fegato è l’unico organo del corpo umano capace di riformarsi.
Tutti questi elementi indicano che siamo alla vigilia di enormi cambiamenti positivi. Per chiarezza scrivo nel documento che segue le direttive che portano in quella direzione ed esorto tutti a impegnarsi per il bene comune, perché non c’è al mondo maggior piacere né soddisfazione. Affermo deciso:
La pace arriverà perché noi la faremo arrivare.
Vi lascio per ora con
l’antico saluto che risuonava in Magna Grecia e significava evviva: Evoè!
Magna Carta della Pace
- Il primo diritto
e dovere di ogni persona è vivere una vita serena e felice.
- La libertà della persona non può essere limitata da alcuna forma di autoritarismo.
- L’amicizia tra tutti è fondamentale per la convivenza pacifica. Bisogna farsi amici i nemici.
- La competizione è malsana: ognuno deve fare il meglio che può per la felicità propria e degli altri. La cooperazione, non la competizione, deve guidare le relazioni umane.
- Le armi di guerra devono essere tutte distrutte: aerei, carri armati, cannoni, bombe, missili, navi, sottomarini, droni, laser, armi chimiche, virali e batteriologiche.
- Tutte le tasse e imposte devono essere abolite. Gli Stati devono emettere la moneta necessaria per i beni e i servizi necessari ai cittadini.
- L’istruzione sarà obbligatoria e gratuita per tutti fino al conseguimento di una di laurea.
- I debiti pubblici devono essere congelati e restituiti in un tempo ragionevole, senza più gravare sulle generazioni presenti e future.
- Gli Stati devono garantire a tutti i cittadini i mezzi necessari per soddisfare le necessità essenziali di nutrimento, scuola, assistenza sanitaria e allogg
- I genitori, soprattutto le madri, devono insegnare l’educazione sessuale ai propri figli, invece di nascondere come vergognoso l’atto sessuale dal quale essi sono nati.
INDICE
Premessa -
Un tripudio di vita 3
1.
Quattordici miliardi di anni fa 6
2. I due
universi 9
3. La Legge
Universale del Desiderio
14
4. Cosa
scrisse un
ometto
17
5. Antica
Europa e Indoeuropei 20
6. Pitagora
Maestro di vita 23
7. Gesù
denuncia il sistema patriarcale 31
8. Il sesso
nel mondo
neolitico 35
9. Guerra e
pace col sesso 38
10. I
guasti della repressione
sessuale 42
11. La
distruzione di tutte le
armi 47
12. Origine
della distruzione delle armi 49
13. Un
sistema economico arretrato 51
14. La vita
gratis 53
15. Il
materno per una vita
migliore 55
16. Magna
Carta della Pace 58
Postfazione - Una telefonata inattesa
La mattina del 10 giugno 2025 avevo appena terminato la revisione di questo libro, quando mi chiamò dalla Svizzera il mio carissimo amico Miklos Vendel, ungherese nazionalizzato svizzero, conosciuto nel 1968 presso l’INSEAD di Fontainebleau, dove frequentavamo la Business School. Da allora è nata un’amicizia forte e sincera. Miklos nel 1956 aveva dovuto abbandonare l’Ungheria assieme alla sorella maggiore Elisabeth, scappando di notte per i campi di Sopron, la loro città vicina al confine con l’Austria, a causa dell’invasione delle truppe russe. Il padre di Miklos, Presidente dell’Accademia delle Scienze di Ungheria, che aveva lo stesso suo nome, era rimasto con la moglie Elisabeth, che aveva dato il suo nome alla figlia.
Miklos
aveva studiato ingegneria presso il Politecnico di Zurigo ed ebbe importanti
incarichi manageriali in Svizzera. Poi acquistò delle aziende negli USA e si
divise tra Usa e Svizzera, compiendo alcuni viaggi in Ungheria. Miklos è di un giorno
più grande di me: è nato l’11 giugno 1941, mentre io sono nato il 12 giugno
dello stesso anno, e all’occorrenza ci telefoniamo per scambiarci gli auguri.
Questa mattina mi chiese come andava la Nuova Scuola Pitagorica, e io lo aggiornai brevemente con questo mio ultimo libro. Il commento di Miklos mi sorprese, perché egli sollevò una materia che io avevo considerato, ma avevo deciso di non affrontare per non allargare troppo l’esposizione. Miklos disse:
Le guerre nascono dal vuoto esistenziale che nasce dal
rifiuto della dimensione spirituale, dimensione che è parte essenziale della
natura umana. Da quel vuoto nascono depressione, aggressione e dipendenze, le
quali cercano di colmare quel vuoto, ma ciò è impossibile, perché solo la dimensione
spirituale può colmarlo.
Ho ascoltato con sorpresa le parole di Miklos, sempre precise, da ingegnere, ma anche da uomo profondamente innamorato della sua Ungheria e di una dimensione spirituale che i genitori, cattolici praticanti, gli avevano trasmesso.
Io
sono nato in Calabria bagnata non solo dal Mare Jonio, ma lambita anche da perenni
onde spirituali che elevano vita e morte a dimensioni rasserenanti. I preti del
seminario, poi, che ho praticato per sette anni, nonostante le loro stranezze e
deficienze, hanno alimentato in me la speranza di un mondo pacificato
dall’amore divino.
Oggi
emerge più evidente l’esortazione di Gesù, da molti conosciuta ma da pochi
praticata. Come avevo già scritto nel Capitolo 4, egli esorta verso una
dimensione spirituale e interiore:
Il Regno dei
Cieli è dentro di voi.
Soverato, 10 giugno 2025
Per contattare l'Autore: mongiardosalvatore@gmail.com