sabato 31 gennaio 2015

Il SOPRANNOME DI DORA SAMA'

IL SOPRANNOME
"DISTINTIVO" DI OGNI ANDREOLESE

L'idea del presente racconto mi è balenata dopo la telefonata dalla Sicilia del gesuita Fratel Egidio Ridolfo, confratello di Padre Giuseppe (mio fratello), con lui al Gesù Nuovo di Napoli dal 1967 al 13 dicembre 2010.
Ho avuto modo di conoscerlo e di sentirlo per telefono dopo avergli inviato, nel 2006, la biografia "Una vita nascosta in Cristo - la Monachella di San Bruno", della Serva di Dio Mariantonia Samà (nata nel mio paese di Sant'Andrea Ionio - CZ), della quale è diventato così devoto d'aggiungerla ai suoi tanti Protettori.
Sofferente a causa dell'inesorabile male che l'affliggeva da tempo, è stato chiamato dal Signore il 13 gennaio 2013.
Circa due mesi prima mi aveva telefonato dalla clinica di Palermo, dove si trovava per l'ennesimo controllo diagnostico, felice d'aver terminato in quel momento la lettura del mio secondo libro: "Testimonianze sulla Monachella di San Bruno".
Si era soffermato divertito e incuriosito sui vari soprannomi, usati da me negli episodi dei miei concittadini, per agevolare la conoscenza dei protagonisti e impedire di confonderli a causa delle numerose omonimie. Era molto allegro nel ripetere quei nomi strani, inventati dagli avi di ogni famiglia andreolese e l'ho intrattenuto volentieri per ridurre l'orario d'attesa, in quel luogo tutt'altro che accogliente!
Non essendo in grado di risalire agli antenati di ogni nucleo familiare, ho soddisfatto la sua curiosità con la storia ascoltata diverse volte da mio padre, del soprannome ereditato da lui dalla mamma Maria Caterina, figlia di don Giuseppe Damiani, andreolese, il quale apparteneva ad un nobile casato e aveva sposato una giovane di umili origini.
Dopo qualche tempo dal matrimonio, Giuseppe Damiani si trasferì in Sicilia per prendere servizio come cancelliere a Girgenti, mentre la moglie, incinta, lo raggiunse quando la piccola Maria Caterina aveva già circa quattro anni.
La moglie trovò difficoltà ad ambientarsi in un luogo molto diverso dal suo per usi e costumi e soffriva per la lontananza dai genitori, dai parenti, per la rara partecipazione alle funzioni sacre, tanto che il marito, notato il suo disagio, cercò di andarle incontro.
Dopo circa quattro anni le permise di lasciare la Sicilia, ma volle tenere con sé la ragazza per provvedere lui alla sua istruzione, visto che in paese non esistevano ancora le scuole.
Entrambi convinsero la figlia a rimanere con la promessa che, in assenza del padre, avrebbe avuto la compagnia di una donna che, al momento, sembrava essere molto amorevole.
In seguito, però, tale donna si rivelò severa e niente affatto comprensiva.
Pertanto, Maria Caterina divenne insofferente: aveva nostalgia della madre, delle favole che le raccontava e delle preghiere che recitavano insieme mattina e sera.
All'età di otto anni, durante una fiera in piazza, il padre le permise di andarci da sola e, per la prima volta, si sentì libera in mezzo alla gente del posto.
Sostava davanti ad ogni bancarella, ammirava gli oggetti che l'attraevano e si divertiva a spostarsi da una parte all'altra, quando s'incantò davanti a delle stoviglie variopinte. Le ricordavano quelle di creta, lavorate al tornio dagli abili stovigliai andreolesi e assisteva volentieri alla compravendita, fino a distinguere chiaramente l'accento calabrese nel linguaggio del mercante.
Si avvicinò alle donne che gli stavano accanto, per chiedere la loro provenienza e, nel sentire il nome del suo paese, esultò di gioia sperando di poter realizzare il suo sogno. Raccontò la sua storia, espresse piangendo il desiderio di riabbracciare la madre e riuscì a commuoverle, fino a convincerle a condurla con loro.
L'imprevisto ritorno di Maria Caterina rese felice la madre che, abbracciandola, le promise di non separarsi più da lei.
Gli abitanti del paese sapevano che don Giuseppe Damiani, durante il suo servizio in Tribunale, usava la "parrucca", detta - tuttora - in gergo dialettale "pilucca".
Questo termine li agevolò a trovare il "soprannome" appropriato per la nuova arrivata: bastava indicare la ragazza come Maria Caterina "e pilucca" per non confonderla con le tante persone che avevano lo stesso nome.
Da giovane sposò l'esperto stovigliaio Giuseppe Samà, uomo onesto, religioso ed ebbero tre figli, tra cui Andrea. Questi, in seguito al matrimonio con la giovane Maria Concetta D'Amica, divenne padre di quattro figli, compresa me, ed abbiamo ereditato il suo "soprannome".
Bisogna riconoscere l'utilità di questo "distintivo" che ci permette di risalire anche dai discendenti agli avi, come io stessa ho potuto constatare tante volte.  
Infatti, quando mi reco in estate nel mio paese e incontro i figli o i nipoti dei miei compaesani, emigrati da tempo in America o altrove, risalgo al nome dei loro genitori e dei nonni dopo aver sentito la... magica parola del loro "soprannome".
Concludo esternando la mia ammirazione nei confronti dei nostri progenitori che, pur senza cultura, affrontarono situazioni difficili e risolsero seri problemi, grazie alla loro acuta intelligenza e sofferta esperienza.
Attenti osservatori in ogni stagione dei cambiamenti del tempo e di altri fenomeni atmosferici, acquisirono una profonda conoscenza empirica e si lasciarono guidare dal loro intuito nel lavoro campestre, attuando un programma prestabilito ed efficace. Conoscevano il periodo adatto alla coltivazione della terra, alla preparazione dei solchi per la semina del grano, alla potatura degli alberi per rinvigorirli e sapevano individuare il momento più idoneo per il raccolto e per una migliore conservazione del prodotto. Non sapendo scrivere, erano talmente perspicaci da sintetizzare il sapere in proverbi dialettali e in rima, per facilitare l'apprendimento e insegnarli a loro volta ai pronipoti.
Si prova piacere a sentirli e a ripeterli perché permettono alle nuove generazioni di risalire, a distanza di anni, alla profonda saggezza degli antenati.
Intendo riportarne alcuni dal contenuto religioso, sociale e giuridico, appresi dai miei genitori e dagli anziani del paese.
1) "Cui a Dio on crida, paradisu on bida"
    (Chi non crede in Dio, non vede il paradiso);
2) "Cui on rispetta u patra e ra mamma, on ava do Signuri benedizziuani e manna!"
   (Chi non rispetta il padre e la madre, non riceve dal Signore benedizioni e provvidenza!);
3) "Oja in figura, domana nsepoltura, mbiatu cui pe l'anima procura!"
    (Oggi vivi, domani morti. Beato chi pensa a salvarsi l'anima!);
4) "Cùasi viduti, cùasi tenuti; cùasi arrobati, cùasi tornati o aru mpiarnu ncatinati"
   (La roba trovata può essere trattenuta; quella rubata va restituita o si finisce all'inferno);
5) "Uamo abbisato, mìanzu sarvatu"
    (Uomo avvisato (di un pericolo) può salvarsi (se riflette!);
6) "Dimmi cu cui vai e ti dicu cu sii"
    (Dimmi con chi vai (chi frequenti) e ti dirò chi sei);   
7) "Si bua chino u ceddaru puta e zzappa nte jennaru"
  (Se vuoi pieno il piccolo ripostiglio (per un abbondante raccolto), pota e zappa in gennaio);
8) "Pe Sammartinu ogni mustu diventa vinu"
    (Per S. Martino (11 novembre) ogni mosto è già vino);
9) "Cu dassa a strata vecchia pa nova, sapa chiddu hi dassa e on sapa chiddu hi trova"
    (Chi lascia la strada vecchia per quella nuova, sa ciò che lascia, ma non sa ciò che trova): é un invito a riflettere per qualsiasi scelta;
10) "Arrobba strana e fatiga e festa, trasa d'a porta e nescia d'a finestra"
      (Il guadagno del giorno festivo, entra dalla porta ed esce dalla finestra).
I nostri avi partecipavano ogni mattina alla Santa Messa, prima di recarsi nei campi e l'intera popolazione rispettava con il riposo la domenica e ogni festività.
Anche se privi di cultura, con l'esempio trasmisero alla prole l'amore verso Dio e verso il prossimo.
In molte famiglie oggi manca il dialogo tra genitori e figli e non riescono ad instaurarlo, perché interrotto dall'importuno, frequente squillo del piccolo, inseparabile cellulare.
Auguriamo che i giovani della nuova generazione, inchiodati sin da piccoli davanti al computer o ad un teleschermo, trovino il tempo di alzare il loro sguardo verso il cielo per lodare Dio, nostro Creatore, per aver dotato l'uomo di così tanta intelligenza e ingegnosità.
                                                                            Dora Samà
Castelfranco Veneto, 19 marzo 2014


                                                                            

sabato 10 gennaio 2015

Dora Samà - LA MIA VOCAZIONE PER L'INSEGNAMENTO

Con questo mio scritto cercherò di rispondere alla domanda di mia nipote Maria su quando ho sentito la vocazione per l'insegnamento.
Risalgo con la memoria, innanzitutto, all'età di quattro anni quando qualche volta rifiutavo, piangendo, di recarmi all'asilo e mia madre mi accontentava facendomi andare a scuola con le sue due nipoti, Silvia e Teresita D'Amica, entrambe insegnanti. 
In aula mi comportavo bene per godere in seguito dello stesso beneficio e, per non distrarre gli alunni, eseguivo strani disegni dietro la lavagna o scarabocchiavo fogli con matite multicolori.
Riflettendo sul periodo della scuola elementare, ricordo che, a differenza dei miei compagni, io desideravo che le vacanze natalizie ed estive fossero più brevi per ritornare prima in classe.
Suppongo, tuttavia, che la mia vera vocazione all'insegnamento sia nata verso la fine del ciclo scolastico elementare.
Mio padre, per suoi principi e pregiudizi, come già aveva fatto con le mie due sorelle, Caterina e Teresina, si era opposto alla mia richiesta di sostenere l'esame per l'ammissione alla prima media.
Io, però, non mi arresi come loro, ma perseverai nella mia richiesta per altri cinque interminabili anni, sperando di poter realizzare il mio sogno e, proprio per questa mia forte ostinazione che non mi faceva desistere, continuo ancor oggi a considerare la mia scelta come "una chiamata di Dio".   
Si dice, infatti, che "se un evento è volontà di Dio", niente lo ferma e, prima o poi, il nostro sogno si realizza e diventa realtà.
Così, per una serie di circostanze molto favorevoli e, devo dire... "inspiegabili", dopo cinque anni dalla fine della scuola elementare, (durante i quali tenevo comunque i libri in mano), fu emanato un decreto ministeriale che consentiva di sostenere, con la sola licenza elementare, un esame che avrebbe permesso, addirittura, l'accesso al secondo anno dell'Istituto Magistrale!
Sempre per "strana coincidenza", mio padre in quel periodo si era ammalato in modo grave e temeva di morire lasciando la famiglia in difficoltà economica...
Accettò per questo che io partecipassi all'esame di ammissione, pensando che il mio futuro lavoro potesse poi garantirmi un reddito da condividere con la famiglia.
Ovviamente, la partecipazione all'esame richiedeva una seria ed intensa preparazione, perché in pochi mesi occorreva studiare le varie materie e nel paese non vi erano né scuole private né persone disponibili a tal fine.
Le "circostanze" favorevoli, per mia fortuna, continuavano a verificarsi: nello stesso periodo e, precisamente, il 5 dicembre 1945, si era laureato in lettere a Messina mio fratello Giuseppe, che già dava a casa lezioni ad alcuni ragazzi di S. Andrea Jonio, durante le quali io "origliavo" dietro la porta, per colmare il mio periodo di "vuoto scolastico".
Mio fratello, però, aveva già deciso di partire subito dopo la laurea per il noviziato presso i gesuiti ma, in modo "inspiegabile" (in quanto ne condivideva la scelta), mio padre temporeggiava trattenendolo in famiglia e io ho potuto avere, così, a disposizione e a tempo pieno, un ottimo insegnante con cui affrontare la mia avventura!
L'impegno di entrambi fu veramente intenso, anche perché inizialmente avevamo capito che il "salto" riguardasse solo i tre anni della scuola media e non anche il primo anno dell'Istituto Magistrale... Grazie, comunque, alla professionalità di mio fratello ed alla mia tenacia e costanza, riuscii a superare l'esame (fatta eccezione per la musica ed il disegno geometrico, che ripetei con successo nella sessione autunnale), recuperando tutto il tempo perduto e riuscendo a diplomarmi a 19 anni.
Devo riconoscere che nel mio cuore, sin da piccola, albergava già la certezza che sarei diventata maestra, in quanto avevo confidato il mio sogno alla "Monachella di San Bruno" (al secolo Mariantonia Samà), una mistica andreolese che già all'epoca era in concetto di santità per i molti carismi posseduti e per la quale attualmente è in corso il Processo di Canonizzazione.
Mariantonia mi ha sempre invitata ad aver fiducia e a pregare con costanza per poter raggiungere il mio obiettivo.
Ricordo bene che ai miei dubbi ed ai miei momenti di sconforto lei rispondeva utilizzando il verbo non al futuro, quale speranza, ma al presente, quale certezza: "Diventate maestra, anche se i tempi del Signore non sono i nostri!".
In seguito agli approfondimenti che sono stati fatti su di lei nell'ambito del procedimento di beatificazione e che hanno messo in luce la sua capacità di interpretare la volontà divina, resto sempre più convinta che la mia passione per l'insegnamento sia stata vera e propria "vocazione", cioè una chiamata venuta da lassù...
L'ho mantenuta sempre viva durante il quasi quarantennio di attività.
Ho, infatti, iniziato ad insegnare subito dopo il diploma per un triennio nella Scuola Popolare, istituita all'epoca contro l'analfabetismo e nell'anno 1951 ho poi superato (unica su 10 candidati andreolesi) il concorso per entrare in ruolo. Ho, così, insegnato per ulteriori 35 anni (a Sant'Andrea Jonio e successivamente a Napoli), decidendo, infine, di andare in pensione in anticipo rispetto al termine previsto per legge, per non correre il rischio di lasciare gli ultimi alunni a metà ciclo, senza poterli condurre al diploma, perché loro avrebbero sofferto quanto me. 
Ricordo ancora con affetto (e con i rispettivi nomi) tutti gli alunni dei vari cicli, ai quali ho sempre dato la mia totale dedizione, destinando loro, oltre che l'orario scolastico, anche il mio tempo "familiare", in quanto portavo a casa tutti i compiti da correggere...
Sono stata, comunque, ripagata, sia dalla stima dei loro genitori che dal loro affetto, che conservano immutato a tutt'oggi parlando, addirittura, di me con enfasi ai loro figli e creando su Facebook una pagina dal titolo
"I bambini della maestra Dora".
Castelfranco Veneto, 16 dicembre 2014
Dora Samà