mercoledì 17 febbraio 2010

NOBILI ORIGINI DELLA 'NDRANGHETA


La sera di San Valentino 2010, ho seguito la trasmissione su TV7 dedicata alla ’ndrangheta condotta da Monica Maggioni, ospite il giudice Gratteri. Sullo schermo scorrevano le immagini di San Luca, della Pietra Kappa, di Bovalino e Locri, sullo sfondo dell’Aspromonte e davanti al mare Jonio, il mio mare. Ho voluto scrivere questa riflessione per testimoniare che c’è un altro modo di interpretare la ’ndrangheta, un fenomeno che parte da lontano a cominciare dallo stesso suo nome. Sharo Gambino scrisse su questo argomento una bellissima pagina per la quale mi complimentai con lui. Sharo ricostruì l’origine della parola che venne coniata ai tempi di Pitagora quando, per merito dei suoi insegnamenti, l’attuale Calabria fu chiamata Magna Grecia. La parola greca era andragatìa, composta da anèr, uomo, e agatòs, buono, cioè una persona onesta senza macchia.

Scriveva Sharo che intorno al 1873, Marco Minghetti, allora Presidente del Consiglio del Regno d’Italia, confinò trecento siciliani appartenenti alla mafia nell’area di Roghudi, dove si parlava ancora il grecanico, lingua ora ampiamente studiata, che risaliva ai tempi delle colonie greche. Gli abitanti del posto non sapevano come chiamare quei confinati che si comportavano rispettosamente, da persone d’onore, e usarono l’antica parola contratta in ’ndràngheta.

Alla domanda pressante di Monica Maggioni: cosa aveva fatto di Gratteri un magistrato e di un suo compagno di banco un ’ndranghetista, il giudice ha risposto che tutto era dipeso dall’ambiente familiare. La sua affermazione è indubbiamente vera, ma non spiega il fenomeno: il giudice non ha scelto la sua famiglia, se l’è trovata, come è successo al suo compagno di banco.

Ora io mi propongo di dare una spiegazione più approfondita della nascita della ’ndrangheta. E comincio con il sissizio di San Luca, tenuto da me davanti alla casermetta della Forestale, poco lontano dalla Pietra Kappa, nell’agosto del 2002. L’idea di tenerlo a San Luca mi era venuta a Seminara, dove nel 2001 presentai il libro di Santo Gioffrè Artemisia Sanchez, su invito del professor Antonio Piromalli. In quell’occasione coinvolsi per il sissizio Fortunato Nocera, direttore della fondazione Corrado Alvaro di San Luca, al quale piacque l’idea di riprendere il convivio comunitario, il sissizio appunto, che fu l’atto fondativo dell’Italia con re Italo.

In quel periodo io avevo terminato di scrivere il Viaggio a Gerusalemme, per il quale avevo approfondito la materia che ora esporrò. Avevo, tra l’altro, scoperto che i mostaccioli di Soriano erano la continuazione delle forme sostitutive che i pitagorici offrivano agli dèi. Dolci fatti con farina e miele a forma di animali: i pitagorici, Pitagora lo imponeva, rispettavano gli animali come fratelli minori e mai li uccidevano. Per quel sissizio avevamo portato i mostaccioli in un cesto che poggiammo su una lastra di marmo quadrata -forma pitagorica per eccellenza- messa come tavolo davanti alla casermetta della Forestale. Come è stato ripreso dalla troupe del TR3 guidata da Pietro Melia, nel marmo erano incisi il teorema di Pitagora, la stella a cinque punte e altre forme geometriche tipiche dei pitagorici. Rimasi a bocca aperta per la coincidenza: portavo i dolci pitagorici su un marmo con i simboli pitagorici.

Ci misi del tempo per venire a capo di quel mistero, ma alla fine credo di esserci riuscito. Quel marmo era stato altare nella vicina chiesa bizantina di San Giorgio, crollata intorno al 1935, della quale si possono ancora vedere i muri perimetrali. La chiesa fu simile alla Cattolica di Stilo con cinque cupole a cilindro. I decori della chiesa furono trafugati, ma nessuno ebbe il coraggio di appropriarsi dell’altare per la paura che incute una cosa molto sacra, e finì davanti alla casermetta. Dei segni pitagorici incisi sul marmo trovai un riscontro nella Vita Pitagorica di Giamblico (I, 251) quando scrive della dispersione dei discepoli di Pitagora dopo la loro cacciata da Crotone e la morte del maestro:

Si radunarono a Reggio, e lì vissero organizzati in comunità.

La dottrina pitagorica fu ribaltata totalmente dall’avvento del cristianesimo. Per Pitagora uccidere un innocente, anche animale, era il peggiore dei mali perché faceva entrare la violenza nell’uomo. Col cristianesimo invece si predicava la morte dell’innocente, Gesù o l’agnello, come sacra e necessaria per la salvezza del colpevole. Quell’affermazione avrebbe fatto arricciare la barba a Pitagora per lo sdegno: il colpevole che si salva con la morte dell’innocente era esattamente l’opposto del suo principio di giustizia e armonia.

Elemento fondante dei pitagorici, al quale attribuivano la più grande importanza, era il giuramento che si faceva sulla tetraktis, la sacra tètrade - ritorna il quattro-, giuramento che mai poteva essere tradito. Una volta affiliati alla setta pitagorica, lo svelare i segreti della dottrina comportava la morte. Lo stesso Platone, che frequentò la rinata scuola pitagorica per sette anni, usò personaggi immaginari per alcuni suoi Dialoghi per paura di essere ucciso dagli altri pitagorici: aveva difatti scritto una dottrina che doveva rimanere segreta. L’affiliazione pitagorica era a vita, garantiva protezione, aiuto reciproco ed economico, e richiedeva segretezza totale, esattamente come oggi fa la ’ndrangheta. I pitagorici poi erano religiosissimi, veneravano gli dèi e avevano luoghi sacri e altari. E i ’ndranghetisti non giurano sui santini? E in ogni covo di ’ndrangheta non ci sono altari, bibbie e vangeli? Il culto di Hera Lacinia a Crotone non è l’equivalente del culto della Madonna di Polsi, dove si sigillano col giuramento i patti della ’ndrangheta?

Questo mi porta ad affermare che la decadenza del Meridione d’Italia, la Magna Grecia, è stato soprattutto un fatto di cultura, di religione, non tanto un fatto politico: il Meridione sta scontando ancora oggi l’abbandono della cultura pitagorica. Un proverbio latino dice: corruptio optimi est pessima. Il Meridione cadde da un’altezza che altri popoli, affacciatisi più tardi alla storia, non possedevano. La caduta da molto alto provoca sempre sconquasso maggiore.

A me sembra di poter affermare che la ’ndrangheta non si può liquidare con la comoda etichettatura di criminalità organizzata, né si vincerà con leggi e sentenze. E’ una forma temibile di reazione a miseria tremenda, come si può vedere visitando i paesi dell’Aspromonte, nata in una popolazione che, anche se illetterata, aveva ben chiari in mente i capisaldi pitagorici di giustizia, amicizia, rispetto della famiglia, onore. Ci sono poi altri fattori storici che si aggiunsero ad accrescere la decadenza e la miseria della Calabria. Per esempio l’arrivo dei Normanni, appoggiati dalla Chiesa, che instaurarono il feudalesimo al Sud quando al Nord finiva con la nascita dei liberi comuni. Nella storia nulla accade a caso e, se qualcosa ci appare incomprensibile, è perché non ne capiamo le profonde radici. Tanto per esemplificare, riprendo l’eccidio di Duisburg, che ha fatto salire la ’ndrangheta alla ribalta internazionale. A me sembra di potere affermare che, violenza per violenza, quella ’ndranghetista è di qualità migliore di quella tedesca. La ’ndrangheta cerca le cose che tutti vogliamo: benessere, belle case, studi per i figli. Per ottenerli minaccia, impone i suoi gravami, uccide. Non è un bel vivere per niente, ma una possibilità di scampo c’è: basta pagare. Se invece si era bimbi ebrei di pochi mesi o di pochi anni, la madre doveva portarli al forno crematorio: non ci fu nessuno scampo per un milione e mezzo di infanti.

Mi sto impegnando attualmente di creare una Accademia Mondiale Antiviolenza per lo studio e la prevenzione della violenza umana, e sono arrivato alla conclusione che, proprio per la sua spaventosa caduta, la Calabria può adesso liberare tutte le poderose energie che millenni di storia sfavorevole hanno compresso. Non è da oggi che vado predicando che la nuova Civiltà Sissiziale verrà dalla Calabria, appena si capiranno le vere e inconfessabili origini della violenza. In quella civiltà si placherà anche l’angoscia che ha generato tanta voglia di morte in Hitler e nazisti, e i ’ndranghetisti vedranno lo squallore della loro esistenza. Stalinisti, nazisti e ’ndranghetisti sono la nostra faccia oscura, ma sono sempre uomini che vanno aiutati ad uscire dall’inferno.

Il giudice Gratteri forse non sa da dove deriva la sua abitudine, da lui stesso raccontata, di lavorare nell’orto e dormire poco dedicandosi allo studio dei processi. Fare vita ritirata e non indulgere al sonno erano chiari precetti pitagorici. E se vuole vedere la fine della ’ndrangheta, allora ho per lui una buona notizia. Nel 1994, quando stavo per terminare di scrivere il mio Ritorno in Calabria, mi recai in visita alla stupenda Cattedrale di Gerace, fatta con colonne prese dai templi greci. Incontrai in quell’occasione il canonico Gratteri, suo zio che, novantenne, stava sempre in chiesa. U zzìu Ntoni, come veniva chiamato affettuosamente, mi parlò di Calabria, di presente e mi esortò: Vedete di aiutare, se potete! Il suo accorato appello ha trovato ascolto in Papa Benedetto XVI il quale, durante la funzione del Giovedì Santo del 2007, affermò che Gesù non mangiò l’agnello, in quanto era un esseno. Lo storico Giuseppe Flavio riguardo agli Esseni scrive nelle Antichità Giudaiche ( XV, 371):

Si tratta di un gruppo che segue un genere di vita che ai greci fu insegnato da Pitagora.

Io sono convinto, non da oggi, che sta per spuntare il giorno dell’intramontabile sissizio, il convivio tra amici senza nessun spargimento di sangue. Lo celebreremo nella cattedrale di Gerace: quel giorno i calabresi toglieranno Gesù dalla croce, u zzìu Ntoni curerà le sue piaghe e Cristo, Stalin, Hitler, il giudice Gratteri, i suoi compagni di banco ’ndranghetisti e io entreremo nell’onorata famiglia dell’andragatìa.

16 02 2010

mercoledì 10 febbraio 2010

DISCORSO SISSIZIO DI BADOLATO 2009

Carissime Amiche e Amici, benvenuti!

il bosco del Faggio Grande di Badolato ci vede ancora riuniti per celebrare questo sissizio, tredicesimo dal primo tenuto in Sant’Andrea nel 1995. Molti amici lontani hanno assicurato la loro partecipazione col cuore. La lontananza non recide, anzi rafforza il legame che ci lega a Franco Arena in Argentina, a Padre Igino Mazzucchi in Amazzonia insieme al mio figlio adottivo Marinaldo, alla mia diletta figlia Gabriella in Florida, a Charles Cronin a Parigi, e molti ancora in America, Francia, Germania, Svizzera, Torino, Genova, Milano, Roma, Sardegna e nella stessa Calabria. Un saluto particolare porgo a nome del nostro Mimmo Lanciano e del monaco greco ortodosso Kosmàs, che visse nel monastero di Bivongi, e che recentemente ho visitato sul Monte Athos in Grecia. Kosmàs ha promesso: Sarò presente al sissizio in spirito.

Tra i presenti saluto voi tutti ad uno ad uno, ma soprattutto Vincenzo Squillacioti e tutto il magnifico gruppo della Radice che in questi anni ha sostenuto i sissizi con generosità e dedizione. Saluto anche Fortunato Nocera della Fondazione Corrado Alvaro di San Luca, don Raffaele Malena e Mimmo Paravati, senza volere fare torto a quelli che non nomino. Mando un saluto all’editore Franco Arcidiaco della Città del Sole di Reggio che ha editato il mio libricino PERCHE’ LA VIOLENZA. Ho l’onore di poter dare a voi, quali rappresentanti di tutta l’umanità, questo piccolo regalo che annuncia il regalo grande che l’umanità attende da sempre: la fine della violenza.

Di recente gli astronomi hanno osservato un’esplosione di proporzioni inimmaginabili in prossimità di un buco nero: da quella vampa ricomincia il ciclo di rinascita di una parte dell’universo visibile. A me sembra che quel nuovo ciclo cosmico è simile a questo che oggi stiamo vivendo qui, in questo bosco, alla presenza del Bue di Pane pitagorico, simbolo della fine di ogni violenza. Da 25 secoli la nostra Calabria ha conosciuto una decadenza inarrestabile. Dallo splendore filosofico e dall’altezza di vita e costumi di Pitagora siamo precipitati dentro il buco nero del presente. Terribile e meraviglioso destino della Calabria, aver dovuto subire una degradante caduta per poter annunciare al mondo quello che mente umana mai, prima d’oggi, ebbe l’ardire di pensare o progettare: la fine della violenza.

I grandi desideri dell’umanità si sono sempre realizzati. Così l’uomo ha imparato a volare, a vincere le malattie, a comunicare gratis in tutto il mondo con internet. E oggi, proprio dalla nostra terra, si annuncia la fine della violenza con l’impegno a studiarne e a capirne le vere origini. Per questo noi porteremo avanti il progetto per la creazione di un’Accademia Mondiale Antiviolenza, promuovendola in tutte le sedi, e vi prego di considerare questo progetto una creatura non solo mia, ma di voi tutti perché nata dal grande cuore e dall’alta mente della gente di Calabria. Il Bue di Pane che Pitagora offrì agli dèi nelle città di Crotone d’Italia, così era chiamata Crotone negli antichi testi, è pegno che questo sogno si realizzerà e renderà l’umana vita veramente degna di essere vissuta.

Don Mario Migliarese ha voluto comporre la musica dei componimenti che troverete nel libricino. L’augurio è che questa breve rappresentazione pitagorica si diffonda in tutti i continenti con il suo messaggio di uscita dalla violenza. Rendo omaggio con rispetto a tutte le vittime della storia del mondo, uomini e animali, brindo alla nostra bellissima amicizia, invoco un mondo libero dalla cappa di angoscia e di morte.

EVOE’, gioia e salute a tutti da parte mia e dal magnifico Bue di Pane, offerto, tramite Marziale Mirarch, dal panificio Cinquattaquattro di Isca Marina!

Salvatore Mongiardo


UN GIORNO LA VIOLENZA FINIRA

Salvatore Mongiardo

mongiardosalvatore@gmail.com

+39 348 78 20 212

PROCLAMA SISSIZIO DI BADOLATO 2009


Care Amiche, cari Amici,

Quest’anno ci riuniamo di nuovo nella montagna di Badolato che altre volte ci ha visto insieme. Avremo il Bue di Pane pitagorico, simbolo della fine del versamento di sangue in ogni parte della terra. Molti diranno che è una utopia, come si disse del volo umano e della sconfitta del vaiolo, della tubercolosi e di altre malattie. Eppure un giorno si visiteranno i macelli degli animali come oggi visitiamo i campi di sterminio nazisti.

Per questo sissizio propongo due riflessioni. La prima è il vivere assieme non su base politica, ma di amicizia. La storia ci dimostra quanti lutti e quante lotte la politica ha generato nel corso dei secoli. La politica come concetto deve essere superata, perché è incapace di governare il mondo, come anche le recenti crisi dimostrano. Perciò noi vogliamo tornare all’amicizia come valore fondante del genere umano, rifiutando le catalogazioni di religione, razza, nazionalità e sesso. L’amico è un altro te stesso, diceva Pitagora, e sull’amicizia re Italo fondò l’Italia in queste terre.

L’altra riflessione è sulla morte e sulla fine del suo dominio sull’umanità. Tutti abbiamo paura della morte. Ma la grande filosofia calabrese oggi vuole scardinare questa paura. Presso gli antichi fenici, quando c’era una eclisse, i genitori immolavano il primogenito agli dèi per ottenere che il sole ritornasse, come possiamo vedere nel tofet di Cartagine, il cimitero dei bambini arsi vivi. Oggi l’eclisse non fa paura perché si è capito il fenomeno. Ugualmente, la morte ci sarà sempre, ma non metterà più paura quando sarà capita nella sua essenza. Il nostro invito a ognuno, soprattutto agli scienziati, è di studiare la morte in tutti i suoi aspetti per strapparle di mano la falce che terrorizza l’uomo.

Quest’anno faremo una breve recitazione del mio testo Italia Italia. E’ la rappresentazione del Sissizio col Bue di Pane pitagorico con canti composti da don Mario Migliarese. Questo scritto, unito all’altro mio scritto Perché la violenza, edito dall’editrice Città del Sole di Reggio Calabria, sarà offerto a tutti i partecipanti.

Auguriamo a ogni essere vivente tanta amicizia e solo amicizia.

Salvatore Mongiardo