L’armistizio del 1943
Lo
sbarco degli americani in Sicilia aveva cambiato le sorti della guerra. I
tedeschi si ritiravano attraversando
La scelta di Tralò non era stata felice. La cima, che si vede a occhio nudo dalla Locride fino alla Presila, è un punto trigonometrico riportato su tutte le mappe militari. Gli aerei americani vi giravano attorno per calcolare la rotta e poi andavano a bombardare i ponti di strada e ferrovia. Il rombo di avvicinamento degli aerei era terrorizzante, mio padre ansimava, io chiedevo un asciugamano per coprire le gambe perché ero convinto che le bombe me le spezzavano, le donne imploravano a gran voce tutti i santi. Come se non bastasse, c’era anche un gran serpente nero, innocuo ma spaventoso, che strisciava nelle vicinanze della casetta: la zia Nunziata aveva appeso filze di aglio per tenerlo lontano. Zio Giovanni aveva un bosco di castagni in montagna, a Farina, e fu deciso di trasferirci lì. Mio padre fece costruire in fretta dai carbonai un gran capanno di frasche ben fitte, con il tetto in terra battuta per resistere alle piogge, e pagò una cifra enorme: diecimila lire!
Era l’inizio di agosto e ci muovemmo verso Farina, dove il numero di persone aumentò con l’aggiunta di altri parenti. Mia madre, anche se incinta al nono mese, portava una sporta sulla testa, io camminavo tenuto per mano dalla zia Mariuzza. Anna mia sorella, che aveva quattro anni, portava una gallina bianca tenendola per le ali. A Farina, accanto al capanno, c’era una capannina, dove stava il suocero di zio Giovanni, Peppe lo Zasso, anziano e sempre coricato. All’inizio io avevo paura di quel vecchio coperto di un lenzuolo bianco, che però mi prese a benvolere e mi insegnava le filastrocche:
Na vota era Carota
Chi
facìa cozzetta e vota
Sa
masurava e non li jìa,
Jestimava
a morta chi on venìa.
Oppure:
Ara
ruga do Ferraru
Ci
stannu tri infantini:
Mara
Rosa, Cuncipita e Catarini.
O
ancora:
E
mo’ chi ti vivisti
Tuttu
u vinu da caseddha
Attàccati
a sta ciarameddha!
Intanto,
il 22 agosto del 1943, mia madre cominciò ad avere le doglie del parto, e mio
padre mandò mio cugino Angelo a chiamare in paese il medico Pietro Voci. Per convincerlo
a quella trasferta, ci volle l’asino di Gerardo Ramogida, ma il medico si
rifiutò di salire sul duro basto, e Angelo andò dai Padri Liguorini per farsi prestare
la sella da donna. I Padri, quando andavano in missione nei paesi sperduti,
usavano quella sella perché la sottana gli impediva di cavalcare come i maschi.
Le ore passavano, e quando il medico arrivò, trovò una bella bimba che vagiva,
Caterina. Il numero era cresciuto, eravamo trentadue, anzi trentatré contando anche
Bianchina, la capra maltese. Al medico Voci piacque quel posto e vi rimase
diversi giorni, attirato dalle soppressate e dal vino buono, facendo però preoccupare
mio padre per la bocca in più da sfamare. Il medico ricambiò l’ospitalità con
un’astuzia. Sull’atto di nascita fece scrivere: Nata in località Farina, dove i genitori si trovavano a villeggiare.
Il medico spiegò che era un accorgimento utile se la bimba, da grande, avesse
dovuto sposare un forestiero: non era necessario dovergli dire che era nata
sotto gli alberi! Non andò così, e Caterina sposò il medico andreolese Andrea
Armogida.
Una
notte una voce di uomo echeggiò ripetutamente nella vallata: Mastru Vicenzinu! Qualcuno chiamava mio
padre, le zie raccomandarono di stare zitti e spensero la lanterna a olio.
Poteva essere un traditore che voleva scovare i fuggiaschi per segnalarli ai
tedeschi!
Mio
padre si fece coraggio e gridò: Chi sei?
L’uomo
rispose: Sono il figlio di Mannagajjha! – soprannome di una famiglia
andreolese.
Mio
padre: Cosa vuoi?
L’uomo:
La guerra è finita, l’abbiamo sentito alla radio!
Mio
padre: Abbiamo vinto?
L’eco
faceva: o-o…
L’uomo:
No, armistizio incondizionato!
L’eco:
o-o…
Mio
padre: E vaffanculo!
L’eco:
o-o…
Guerra
e pace, vincere e perdere, erano cose degli uomini che l’eco non capiva. Per
l’eco, quella notte dell’8 settembre del 1943, tutto finiva con un o-o.
Salvatore
Mongiardo
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