giovedì 21 gennaio 2010

MILANO-PRESENTAZIONE DEL DIZIONARIO ANDREOLESE-ITALIANO DI ENRICO ARMOGIDA

Circolo Filologico, Via Clerici 10, Milano, 3 dicembre 2009


Cari Amici,
Ho il piacere di parlare a voi, per una parte milanesi doc e per una parte andreolesi trapiantati a Milano, dove io stesso vivo, mentre il nostro autore, Enrico, è rimasto abbarbicato come l’edera alle vie, alle campagne e alle case del nostro paese natio.
Questa sera mi trovo nella scomoda posizione manzoniana del vaso di terracotta stretto tra vasi di ferro: da una parte, due professori come Trumper e Banfi, massime autorità accademiche; dall’altra parte, l’autore del Dizionario, Enrico Armogida, al quale sono legato fin dalla nascita da amicizia e dalle origini nello stesso paese della Calabria, Sant’Andrea Jonio.
Ho avuto la rara opportunità di revisionare questo Dizionario nella sua prima stesura, un impegno che non mi è pesato perché, mentre andavo avanti nella lettura, dalle pagine balzavano vive le immagini di tante donne e uomini della mia infanzia, che rivedevo nell’atto di pronunciare la parola o la frase riportata nelle bozze. Dopo seguivano lunghe telefonate tra me ed Enrico per commentare, spiegare, chiarire. Componevo allora il numero di Enrico: “Pronto, Enri’, ch’è ’su scrùsciu? Cosa è questo rumore?”
Risposta di Enrico: “S’arzàu ’a levantìna e u mara palumbìja…” Si è alzato il vento di levante e il mare colombeggia, potremmo tradurre letteralmente in italiano, come se, da lontane praterie, stormi di colombi bianchi andassero a posarsi sul Jonio, quell’enormità di azzurro che Enrico vede dalla finestra di casa sua.
Enrico mi racconta che è appena tornato dalla campagna che il padre gli ha lasciato e che lui continua religiosamente a coltivare. Rivedo suo padre Luigi, chino a rifundìra la vigna: rifundìra, riporta il Dizionario, significa zappare in superficie per eliminare le erbacce e rivoltare la terra, un lavoro che si faceva a maggio, quando la campagna andreolese era un tripudio di fiori e un effluvio di odori.
Il ricordo va poi liberamente a mio padre, mastro Vincenzino, che rivedo nella sua forgia, e pongo un quesito ad Enrico: Da dove viene la parola dallare?Dallare in andreolese significa battere il ferro caldo sull’incudine: mio padre lo teneva con la tenaglia e lo batteva con la mezza mazza. Due discepoli, cioè apprendisti, lo stendevano e allungavano battendolo a turno con due grandi mazze, standogli di fronte: mbi, mbo, mba. Il rimbombo dolce e poderoso arrivava fino alla marina.
Passa del tempo prima che Enrico riesca a risolvere il mistero del dallare, ma un giorno mi telefona: “Guarda che viene dal greco antico daidàllein, che vuol dire forgiare abilmente, modellare artisticamente. È come la parola Dàidalos, il padre di Icaro, cioè Dedalo, che modellò le ali per il figlio. Per aferesi è caduto il prefisso dai, è rimasto dallein che ha cambiato la desinenza greca -ein in quella latina -are: è un caso di omerismo. Domandavo: Cosa è un omerismo? Risposta: E’ una parola che si trova in Omero, cioè nell’Iliade o nell’Odissea, quindi risale almeno all’Ottavo Secolo avanti Cristo, in pratica alle prime colonie greche. Ma non so se metterlo nel Dizionario, soggiungeva Enrico. Il mio imperativo categorico percorreva la penisola dalla Lombardia alla Calabria: Mettilo, metti, metti tutto, se no si perde!
Ed è con vero piacere che saluto in mezzo a noi un formidabile dallatore della forgia di mio padre, Tito Carioti, ora pensionato delle Ferrovie. Caro Tito, eri appena un ragazzino e già facevi scendere la mazza sull’incudine e Peppe Ruggero di fianco con l’altra mazza. Io guardavo voi due e mio padre e mi sembravate il gruppo della fucina del dio Vulcano che avevo visto in un libro.
Enrico ha intitolato quest’opera Dizionario ma, secondo me, sarebbe stato più giusto aggiungere Enciclopedico, perché nelle sue 1.314 di questa prima edizione sono riportati avvenimenti, personaggi, catastrofi, incendi, alluvioni, terremoti. E poi le arti e i mestieri con tutta la terminologia relativa, dal vasaio alla produzione e tessitura della seta, i nomi dei fondi, i soprannomi con i quali venivano caratterizzate, a volte in maniera rude, persone e famiglie.
C’è per esempio la vicenda della Monachella di San Bruno, nata nel 1875, ritenuta indemoniata all’età di 11 anni, guarita nella Certosa di Serra San Bruno e sempre vissuta a Sant’Andrea fino al 1953. Mariantonia Samà, così si chiamava, visse immobile su un pagliericcio di foglie di mais, sempre sulla schiena e sempre con le gambe rattrappite, per 60 anni (ripeto: sessanta). Era analfabeta e illetterata, orfana di padre prima ancora di nascere, poverissima, e non si mosse mai dal tugurio di 10 metri quadri che era la sua casa. Una vicenda che va oltre il credibile e che testimonia come anche la vita più sfortunata può essere fonte di consolazione e conforto per gli altri.
Un altro personaggio andreolese riportato è Saverio Mattei, nato nel 1742 e morto nel 1795, ministro della Real Casa Borbonica, del quale osservavo lo stemma con leone rampante sul portale della sua casa baronale adiacente a quella di mia nonna paterna, Marianna. Mattei ha impegnato Enrico molto più del previsto, tanto che ha dovuto scrivere un saggio a parte, eccolo, sulle concordanze tra tanta fraseologia della lirica del Manzoni e quella dei Salmi tradotti da Saverio Mattei. In ben 40 pagine, dense di note e raffronti, il nostro autore dimostra che Mattei, cito letteralmente, fu un mediatore insostituibile nella più matura e felice produzione lirica del milanese Alessandro Manzoni. Mattei, giureconsulto e poeta del Millesettecento, dedicò e indirizzò uno dei suoi Paradossi in versi sciolti anche a Cesare Beccaria, nonno del Manzoni, e, per le sue idee illuministiche, fu chiamato il Beccaria del Regno di Napoli. Ma tutto questo non gli giovò. Il figlio primogenito di Mattei, Gregorio, fu impiccato dal Borbone dopo il fallimento della Repubblica Partenopea. E l’altro suo figlio, Luigi, morì bruciato vivo dall’esercito napoleonico al quale Sant’Andrea aveva osato opporre resistenza nel 1806, come il Dizionario riporta narrando il saccheggio e l’incendio del paese con decine di morti.
E non è tutto. Leggendo la traduzione in italiano dei Salmi del Mattei, Enrico notò una rassomiglianza tra alcuni versi dello stesso e altri di Leopardi. Nella prima sala della biblioteca paterna del Leopardi, a Recanati, ci sono i Salmi tradotti in versi italiani di Mattei, che Leopardi aveva studiato. Ne approfitto allora per fare un pubblico incoraggiamento ad Enrico: Dai, dai, scrivi anche il saggio su Mattei e Leopardi! Hai scritto saggi su Catullo, su Saffo, fa’ anche quello su Leopardi!…
A me personalmente sembra che qualcosa dei cieli, delle campagne e dei colori di Sant’Andrea, uno smalto raro e indefinibile, un polline prezioso, è passato nella grande poesia di Manzoni e di Leopardi. Invito perciò i linguisti a esaminare questi scritti che ampliano la visione degli intrecci culturali tra Sud, Centro e Nord Italia, intrecci continuati nel tempo, non limitati alla nascita della poesia stilnovista presso la corte di Federico II in Sicilia.
L’Associazione Milanese degli Andreolesi, (AMA), ha appena celebrato la diciottesima festa di Sant’Andrea, portato in processione sul Naviglio Grande, unica processione che si svolge con statua in Milano. È stato un trapianto culturale avvenuto nel 1992 e voluto da tutta la comunità andreolese che conta circa 600 persone. Ed è stata l’AMA, che ringrazio nella persona del suo Presidente Andrea Corapi, ad organizzare questa presentazione, mentre l’ARA, Associazione Romana Andreolesi, con il suo Presidente Mario Codispoti, ha organizzato a Roma, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio, un’altra presentazione il 30 marzo scorso.
Io sono convinto che quest’opera è destinata a durare nel tempo perché riflette la coralità del popolo andreolese: le donne che risalivano cariche di frutta dalla marina, il lavoro dei campi dei contadini, le botteghe artigiane, le stradine dove si aggiravano personaggi strani e un po’ matti, un mondo di gente vera, che adesso è nel gran sonno, ma che è stata la ricchezza autentica della nostra vita.
C’è anche da aggiungere però che mai come adesso Sant’Andrea ha avuto tanta produzione di opere letterarie o scientifiche. E non solo a Sant’Andrea, ma in tutta la Calabria si assiste a un fiorire di riviste, giornali, libri di narrativa, storia, ricerche linguistiche. Questo Dizionario si capisce appieno in questa presa di coscienza di fine di un ciclo storico e di inizio di uno nuovo. Ed è questa presa di coscienza l’unica soluzione possibile ai problemi che da decenni affliggono il Meridione. La soluzione di quei problemi non può essere politica, e tutti gli inutili sforzi fatti dai vari governi lo dimostrano. La rinascita del Sud avverrà attraverso un’autentica rivoluzione culturale, ormai indilazionabile, che coinvolgerà tutta l’Italia, e non solo. Lo andiamo scrivendo e ripetendo da tempo: la nuova civiltà verrà dal Sud perché da lì è già venuta. Rispunterà dalle antiche radici così come dopo l’incendio rinasce la macchia mediterranea.
Quest’opera è nata in quella terra del Golfo di Squillace dove nacque l’Italia. Ricordi, Enrico, quante telefonate ti ho fatto perché trovassi, tra gli autori antichi, il passo che parlava della fondazione dell’Italia? Avevo sentito degli accenni al riguardo in una conferenza all’Università di Heidelberg, e volevo riportarlo nel mio primo libro che stavo scrivendo, Ritorno in Calabria. Finalmente un giorno mi hai telefonato tutto eccitato: L’ho trovato! È nella Politica di Aristotele, libro settimo, capitolo dieci. Re Italo convertì dalla pastorizia all’agricoltura la popolazione della terra compresa tra il Golfo di Squillace e quello di Lamezia e fondò l’Italia con il sissizio, il banchetto al quale tutti partecipavano in segno di amicizia e uguaglianza…

Dall’Italia i sissizi si diffusero in tutto il Mediterraneo, come riporta Aristotele, che per ben sette volte ripete come il valore fondante dell’Italia era l’amicizia, non la politica e nemmeno la religione. Da popoli che si chiamavano morgeti, siculi, mamertini, enotri, bruzi, nacque l’Italia, la Prima Italia, come giustamente la chiama Domenico Lanciano, una nazione che avrebbe guidato il mondo verso un sogno di bellezza e un destino di grandezza. Lo testimoniano due italiani di eccezione quali Alessandro Manzoni e Giuseppe Verdi, che a pochi passi da qui vissero e operarono.
Questo Dizionario, a parte il contenuto linguistico e filologico, del quale ci parleranno gli esimi professori, ci riporta con nostalgia e rimpianto a una civiltà contadina avviata irrimediabilmente al tramonto. Quel ricordo appassionato e struggente ha un valore essenzialmente morale ed etico: ci dice, in sostanza che l’umanità, per sopravvivere, ha ancora bisogno di vera amicizia e forte solidarietà che il piccolo grande mondo andreolese seppe così bene elaborare.
Per questo messaggio e per la fatica della compilazione, durata più di trent’anni, ringrazio Enrico a nome di tutte le migliaia di andreolesi sparsi in Italia, nelle Americhe e nel mondo.

Salvatore Mongiardo

Nessun commento: