lunedì 22 settembre 2025

16 SETTEMBRE 2025

16 Settembre 2025

 

Con il filosofo prof Salvatore Mongiardo[1] da tempo ci sentivamo in merito  alla stesura del libro “CIVILTÀ ITALICA E DELLA MAGNA GRECIA” che stava scrivendo con il medico scienziato prof Giuseppe Nisticò[2].

Ci scambiavamo idee e suggerimenti sulla matematica pitagorica, ma soprattutto sul pentalogo[3] pitagorico, ossia i cinque principi etici della Comunità Pitagorica, e caldeggiava una mia riflessione dal punto di vista matematico per dare agli stessi validità universale.

E così fu.

Decisi di dare al pentalogo fondamenta matematiche e cominciai a scrivere ripercorrendo un po' tutta la storia dei Pitagorici dall’origine ai giorni nostri, passando per il Rinascimento, la geometria frattale, la life science e tanto altro ancora, per affermare che l’armonia pitagorica era basata su concetti matematici e pertanto ha un valore attuale ed universale[4].

Il libro di Mongiardo-Nisticò, edito da Media&Books, vede la luce nel mese di Luglio 2025.

Gli autori[5] decidono di citare anche il mio nome circa il pensiero matematico pitagorico che attraverso i secoli ha saputo dare nell’arte “espressioni insuperabili di bellezza” .

Inizia la presentazione del libro in giro per l’Italia.

Il 16 Settembre 2025 la presentazione del libro viene fatta a Crotone presso la sede della Nuova Scuola Pitagorica, fondata dal prof Mongiardo assieme ad altri.

Evento di successo. Magnifici i relatori-autori con le loro magistrali presentazioni, incisive le conclusioni dell’editore dottor Santo Strati.

Saluti vari, fine della serata.

Ma il giorno dopo, nel pomeriggio, qualcosa si affaccia alla mia mente, qualcosa non di nuovo per chi è abituato a giocare con i numeri, ma di diverso e oserei dire di magico.

Rifletto sulla data: la presentazione è avvenuta a Crotone il 16 settembre 2025 cioè il 16/9/25 e lì sono balzata dalla poltrona mentre cercavo di riposare (e chissà perché non ci riuscivo…)

Quella data altro non era che la terna pitagorica primitiva 4,3,5: per l’esattezza la terna primitiva[6] elevata al quadrato. Ed una terna pitagorica elevata al quadrato è la rappresentazione algebrica e geometrica del Teorema di Pitagora.

 


Nulla accade per caso: le sinapsi sono tutte collegate in una rete neuronale che collega da sempre il passato al presente ed al futuro in un eterno divenire.

Il prof Nisticò ha mirabilmente parlato di sinapsi dell’essere umano e di neuroscienze nella sua presentazione, ma io direi, prof Nisticò, che lei davvero nella sua presentazione ha svestito i panni del medico e dello scienziato per indossare quelli del profeta, come ha sottolineato il prof Mongiardo.

Quando ho chiesto al prof Mongiardo, senza raccontargli della mia ‘ricostruzione numerica’ chi avesse voluto la data del 16 settembre in quel di Crotone, strabiliata mi sono sentita rispondere: È stato Pino Nisticò!

Allora non ho avuto più dubbi: il prof Nisticò è in questa rete neuronale pitagorica ed io matematica crotonese e pitagorica convinta, ho il cuore gonfio di gioia.  

E consentitemi l’accostamento con il cantante Lucio Dalla: la sua canzone 4/3/1943 fu un grande successo perché parlava d’amore eterno.

Il 16 settembre 2025 non può, allora, che essere un nuovo inizio in quella terna pitagorica carica di armonia, etica, amore e pace formulata da Pitagora per i secoli a venire.

Prof Rosanna Iembo

Matematico a vita degli Stati Uniti d’America

www.rosannaiembo.it

 

22 Settembre 2025

 



[1] Il filosofo prof Mongiardo è lo Scolarca della Nuova Scuola Pitagorica da lui fondata assieme ad altri a- mici.

[2] Circa l’illustre prof Giuseppe Nisticò molteplici sono i suoi titoli scientifici, culturali; ma straordinaria è anche la sua attività politica e di scrittore.

[3] Il termine ‘pentalogo’ è un’invenzione del prof Mongiardo.

[4] Queste mie riflessioni su La matematica dell’armonia pitagorica sono raccolte nella prima parte del mio libro “Pitagora e Theanò” che sarà pubblicato a breve.

[5] Ringrazio gli autori, proff Mongiardo e Nisticò, per avermi citato nel loro splendido libro.

[6] Il fatto che si tratta proprio della terna primitiva ha qualcosa di veramente affascinante!

sabato 13 settembre 2025

PITAGORA TRA GUERRA E PACE

 PITAGORA TRA GUERRA E PACE

 

            Si parla tanto delle guerre di Ucraina e Gaza, ma non emerge mai il pensiero di Pitagora sulla origine autentica di guerra e pace. Pitagora affermava:

La pace nasce dal rispetto della vita dell’animale. Se non uccidi l’animale,

mai ucciderai l’uomo. Se uccidi l’animale, ucciderai l’uomo.

Tutti riconoscono Pitagora come il maestro del vegetarismo, ma pochi forse sanno che la sua regola alimentare escludeva di mangiare qualunque animale di terra, mare o volatile, perché, secondo lui:

L’animale ha in sé lo spirito di vita come l’uomo, il quale deve rispettare e aiutare l’animale come un fratello minore.

Pitagora diventò vegetariano convinto all’età di diciotto anni, sotto la guida del suo maestro Talete di Mileto, quello del Teorema di Talete, che accolse nella sua scuola quel giovane di Samo che dimostrava doti intellettuali eccezionali.

             Si potrebbe dire che il principio di Pitagora sull’origine della guerra è simile al Terzo Principio della Dinamica, noto come Principio di azione e reazione di Newton, che dice:

A ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.

Per Pitagora la violenza data dall’uomo all’animale si ritorce contro l’uomo stesso, che poi uccide altri uomini nella guerra.

             Vediamo ora se i fatti della storia confermano o smentiscono il pensiero pitagorico. La gente dice comunemente:

Le guerre ci sono sempre state e ci saranno sempre.

Oggi sappiamo che ciò non è vero. Un numero enorme di reperti archeologici, ricerche antropologiche e indagini condotte da scienziati di tutto il mondo, conferma che le ricerche iniziate dall’archeologa Marija Gimbutas (1921-1994) sono corrette. Lei portò le prove che nell’Antica Europa le società vissero in pace almeno per quattromila anni dall’8000 al 3500 a.C., si nutrivano di prodotti agricoli, le donne guidavano le comunità, non c’erano armi o fortificazioni, tutti erano liberi e la competizione era ignorata. Fu l’Età dell’Oro, finora ritenuta un mito creato dai poeti, mentre oggi sappiamo che quell’età è realmente esistita. 

             Quel mondo fu poi sconvolto dalle invasioni degli Indoeuropei, popoli euroasiatici partiti dal sud della Siberia, che sottomisero i popoli pacifici dell’Europa spingendosi fino all’India. Quei popoli si nutrivano essenzialmente di animali che catturavano nelle steppe, o che allevavano come pastori nomadi. Essi erano comandati da un capo guerriero che aveva schiavi e mogli che alla sua morte erano strangolati e sepolti con lui sotto grandi tumuli di terra chiamati kurgan. Essi avevano imparato a domare i cavalli selvaggi delle steppe e forgiato le prime armi in rame, che trovavano sotto forma di pepite lungo i fiumi. I racconti dei centauri, guerrieri metà uomini e metà cavallo e lo stesso cavallo di Troia, ci dicono che solo con cavallo e armi si vinceva la guerra. L’avanzata degli Indoeuropei non fu uguale dappertutto e si impose su gran parte dell’Europa, in Italia nord e centrale arrivando fino al Medio Oriente. La Calabria, però, fu risparmiata da quell’invasione grazie alle foreste impenetrabili della Sila, popolata da orsi e lupi. I discendenti greci degli Indoeuropei, dotati di armi e cavalli, costituirono la classe dominante della Grecia, e arrivarono in Calabria a bordo di navi già nella prima colonizzazione avvenuta intorno al 1700 a. C., dove, tra altre etnie greche si insediarono gli Enotri, produttori di vino.

             Lo storico Erodoto ci descrive con particolari agghiaccianti la facilità con cui gli Sciti, discendenti degli Indoeuropei che abitavano attorno al Mar Nero, si uccidevano anche tra membri del loro stesso gruppo. Scuoiare e impalare vivi, scannare i giovani offerti come vittime sacrificali, svuotare il teschio del nemico ucciso, farne una coppa per bere e altre spaventose atrocità sono contenute nel Libro IV delle Storie di Erodoto, di cui raccomando la lettura solo a chi è di stomaco forte.

 Il difficile cammino dell’umanità ad abbandonare i sacrifici umani praticati nel mondo antico, è testimoniato dal sacrificio di Ifigenia, figlia di Agamennone, il quale la porta all’altare per decapitarla e ottenere dalla Dea Artemide i venti per far navigare la flotta dei Greci contro Troia. Alla fine Ifigenia è sostituita da Artemide con una cerva che viene sacrificata al suo posto. Quel tentato sacrificio ha un parallelo nell’episodio biblico di Abramo che sta per sacrificare suo figlio Isacco, alla fine sostituito con un montone.

Nella Bibbia è riportato anche il primo omicidio, quello di Caino che uccide suo fratello Abele. Caino, agricoltore, offriva a Dio frutti della terra, ma Dio preferiva i sacrifici animali di Abele, pastore. Il primo a uccidere non fu dunque Caino, ma proprio Abele, poi imitato da Caino. Quella storia biblica conferma la dottrina pitagorica tanto che potremmo immaginare Pitagora affermare:

Come volevasi dimostrare: uccidi l’animale e ucciderai l’uomo.

Quell’episodio fu capito a fondo dal pitagorico Giordano Bruno, che affermava che gli animali hanno come noi umani sensazioni ed emozioni e concludeva alla maniera napoletana:

Ben fece Caino a uccidere quel massacrator di animali Abele.

 Quell’affermazione fu l’ultima delle quattordici imputazioni rivolte contro Bruno dalla Santa Inquisizione Romana, poi depennata dalla stessa Inquisizione che non ne aveva nemmeno capito l’importanza. Ma l’Inquisizione non era la sola a non capire, perché la Chiesa intera non capì né seguì il messaggio di Gesù, chiaramente riportato nel vangelo di Giovanni (10, 1-15), dove Gesù parla di sé come del Buon Pastore che non uccide, non vende e non mangia le sue pecore, ma vive in loro compagnia e le conduce al pascolo. Però, un pastore simile non esisteva nella realtà, perché il popolo ebraico viveva di pastorizia, vendendo e uccidendo agnelli, pecore e montoni. La Chiesa ha dimenticato il rispetto della vita degli animali, restringendo il significato evangelico di pecore solo ai seguaci di Gesù. Difatti, Gesù stesso in Giovanni (21, 15-17) paragona i suoi credenti a pecore e agnelli quando dice a Pietro: Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore. Gesù, però, non esclude l’animale, che rispetta al pari dell’uomo, e come Buon Pastore lo conduce al pascolo, non l’uccide e non lo mangia.  

             Questa contraddizione si risolve se consideriamo Gesù per quello che egli realmente fu: un superpitagorico, o se si vuole, un pitagorico che ha superato il maestro. Difatti, Pitagora praticava e predicava il vegetarismo, ma non lo imponeva, una moderazione che fu notata e apprezzata dai suoi contemporanei. Gesù, invece, fece un’azione inaudita e unica: da solo scacciò e liberò tutti gli animali destinati al sacrificio nel Tempio, firmando così la sua condanna a morte per opera dei sacerdoti, che non gli perdonarono il suo gesto di aperto disprezzo nei loro confronti.

Inoltre, Pitagora tollerava che ci fossero anche i pitagorizzanti, che mantenevano la proprietà privata, mentre i pitagorici dovevano mettere tutti i loro beni in comune. Gesù abolisce quella distinzione e va oltre, come afferma in Luca (14, 33):

Chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo.

La FAO ha stimato che ogni anno vengono uccisi 56 miliardi di animali, pesci esclusi. Quel mare di sangue sta sommergendo l’umanità con guerre che si annunciano devastanti come mai prima d’ora. L’augurio di Cristo: Pace a voi, sembra destinato a non trovare attuazione.

Riuscirà l’umanità a superare questo aspro crinale della storia?

È quanto noi ci auguriamo e ci adoperiamo affinché l’umanità possa vivere felice e in pace, e non abbiamo alcun timore di gridare quel messaggio in questo mondo desertificato dalla violenza.

 Salvatore Mongiardo, 13 settembre 2025

lunedì 8 settembre 2025

L'ARMISTIZIO DEL 1943

L’armistizio del 1943 

Lo sbarco degli americani in Sicilia aveva cambiato le sorti della guerra. I tedeschi si ritiravano attraversando la Calabria, e ammassavano armi lungo il torrente Callipari, a pochi chilometri da Sant’Andrea, per opporre resistenza agli americani. Il timore di rimanere coinvolti in una battaglia, spinse molti andreolesi a cercare rifugio fuori paese, e la mia famiglia si trasferì a Tralò, nella casetta di campagna di zio Giovanni Ranieri. I giovani andreolesi sotto le armi erano un numero impressionante: più di cinquecento, come risulta dagli archivi comunali, circa il dieci per cento della popolazione. A Tralò c’erano mio padre, zio Giovanni, molte zie e cugini, una ventina di persone, tra le quali mio cugino Angelo Iorfida. Io avevo allora due anni, ma ricordo tutto, come mio padre, che scherzava sulla sua memoria prodigiosa dicendo: Ricordo pure quando si è sposata mia madre!

 La scelta di Tralò non era stata felice. La cima, che si vede a occhio nudo dalla Locride fino alla Presila, è un punto trigonometrico riportato su tutte le mappe militari. Gli aerei americani vi giravano attorno per calcolare la rotta e poi andavano a bombardare i ponti di strada e ferrovia. Il rombo di avvicinamento degli aerei era terrorizzante, mio padre ansimava, io chiedevo un asciugamano per coprire le gambe perché ero convinto che le bombe me le spezzavano, le donne imploravano a gran voce tutti i santi. Come se non bastasse, c’era anche un gran serpente nero, innocuo ma spaventoso, che strisciava nelle vicinanze della casetta: la zia Nunziata aveva appeso filze di aglio per tenerlo lontano. Zio Giovanni aveva un bosco di castagni in montagna, a Farina, e fu deciso di trasferirci lì. Mio padre fece costruire in fretta dai carbonai un gran capanno di frasche ben fitte, con il tetto in terra battuta per resistere alle piogge, e pagò una cifra enorme: diecimila lire!

 Era l’inizio di agosto e ci muovemmo verso Farina, dove il numero di persone aumentò con l’aggiunta di altri parenti. Mia madre, anche se incinta al nono mese, portava una sporta sulla testa, io camminavo tenuto per mano dalla zia Mariuzza. Anna mia sorella, che aveva quattro anni, portava una gallina bianca tenendola per le ali. A Farina, accanto al capanno, c’era una capannina, dove stava il suocero di zio Giovanni, Peppe lo Zasso, anziano e sempre coricato. All’inizio io avevo paura di quel vecchio coperto di un lenzuolo bianco, che però mi prese a benvolere e mi insegnava le filastrocche:

 Na vota era Carota

Chi facìa cozzetta e vota

Sa masurava e non li jìa,

Jestimava a morta chi on venìa.

 Oppure:

Ara ruga do Ferraru

Ci stannu tri infantini:

Mara Rosa, Cuncipita e Catarini.

 

O ancora:

E mo’ chi ti vivisti

Tuttu u vinu da caseddha

Attàccati a sta ciarameddha!

 

Intanto, il 22 agosto del 1943, mia madre cominciò ad avere le doglie del parto, e mio padre mandò mio cugino Angelo a chiamare in paese il medico Pietro Voci. Per convincerlo a quella trasferta, ci volle l’asino di Gerardo Ramogida, ma il medico si rifiutò di salire sul duro basto, e Angelo andò dai Padri Liguorini per farsi prestare la sella da donna. I Padri, quando andavano in missione nei paesi sperduti, usavano quella sella perché la sottana gli impediva di cavalcare come i maschi. Le ore passavano, e quando il medico arrivò, trovò una bella bimba che vagiva, Caterina. Il numero era cresciuto, eravamo trentadue, anzi trentatré contando anche Bianchina, la capra maltese. Al medico Voci piacque quel posto e vi rimase diversi giorni, attirato dalle soppressate e dal vino buono, facendo però preoccupare mio padre per la bocca in più da sfamare. Il medico ricambiò l’ospitalità con un’astuzia. Sull’atto di nascita fece scrivere: Nata in località Farina, dove i genitori si trovavano a villeggiare. Il medico spiegò che era un accorgimento utile se la bimba, da grande, avesse dovuto sposare un forestiero: non era necessario dovergli dire che era nata sotto gli alberi! Non andò così, e Caterina sposò il medico andreolese Andrea Armogida.

Una notte una voce di uomo echeggiò ripetutamente nella vallata: Mastru Vicenzinu! Qualcuno chiamava mio padre, le zie raccomandarono di stare zitti e spensero la lanterna a olio. Poteva essere un traditore che voleva scovare i fuggiaschi per segnalarli ai tedeschi!

Mio padre si fece coraggio e gridò: Chi sei?

L’uomo rispose: Sono il figlio di Mannagajjha! – soprannome di una famiglia andreolese.

Mio padre: Cosa vuoi?

L’uomo: La guerra è finita, l’abbiamo sentito alla radio!

Mio padre: Abbiamo vinto?

L’eco faceva: o-o…

L’uomo: No, armistizio incondizionato!

L’eco: o-o…

Mio padre: E vaffanculo!

L’eco: o-o…

Guerra e pace, vincere e perdere, erano cose degli uomini che l’eco non capiva. Per l’eco, quella notte dell’8 settembre del 1943, tutto finiva con un o-o.

                                                                                                                                                         

                                                                                         Salvatore Mongiardo