giovedì 30 luglio 2015

PITAGORA IN OVIDIO

Commento di Marianna La Cava al cap. XV vv. 60 - 478 delle Metamorfosi di Ovidio.
Testo di riferimento: Ovidio Metamorfosi a cura di Nino Scivoletto, edizioni Utet.

Marianna, che ringrazio per il bel commento, è figlia del grande scrittore Mario La Cava ed è docente di tedesco IPSSAR a Pescara. Particolarmente degno di nota è il passo che afferma che non si può uccidere il bue perché aratore.

Dopo aver descritto la mitica origine della città di Crotone, sorta sul tumulo del sacro eroe che le diede il nome, Ovidio inizia a parlarci di un illustre cittadino crotoniate proveniente da Samo, il quale aveva scelto la via dell'esilio per odio verso il regime di Policrate, tiranno dell'isola egea (vv. 60- 62). Ovidio non ci rivela il nome del personaggio, che interviene in prima persona per dare nobili insegnamenti all'umanità, ma in questa figura possiamo riconoscere il filosofo Pitagora e, soprattutto, il mentore del poeta latino, che fa di lui un vaticinor ispirato da Apollo. Il maestro greco espone quindi i principi cardini della sua scienza filosofica, come l'origine del cosmo e le cause dei fenomeni, poi si addentra nel mondo del vegetarianismo ed esorta i mortali a non cibarsi di carne, perché la natura abbonda di così tanti alimenti che non sono disumani ed elargisce a sazietà senza che ci sia scorrimento di sangue (vv. 75-83). Per dissuaderci da abitudini alimentari primitive e per indurci alla riflessione, Pitagora incalza col chiederci se lo strazio delle carni animali non sia paragonabile alle abitudini dei Ciclopi e se la voracità del ventre non si plachi se non con la morte di un altro essere vivente (vv. 91-94). Non era così nei tempi antichi, quando non c'erano insidie né inganni e regnava la pace assoluta (vv. 102-103). L'età dell'oro ebbe fine quando giunse un auctor, quisquis fuit ille, un personaggio, chiunque egli fosse, che invidioso dei banchetti degli dei cominciò ad uccidere non più per legittima difesa (gesto ammissibile, se qualcuno minaccia la nostra vita), ma per il piacere della tavola. Traendo esempio da quello scellerato, l'uomo mise a morte non solo animali resisi colpevoli di recar danno alle colture, come maiali o capri, ma animali del tutto pacifici come le pecore o laboriosi nei campi come i buoi. Chi macella un compagno di lavoro, ammonisce Pitagora, è un ingrato e, come se non bastasse, si macchia di empietà, perché si ciba delle membra di un animale immolato, di cui ha dapprima ispezionato le viscere per conoscere la volontà divina. La vittima sacrificale offerta agli dei assetati di sangue, è senza macchia e talmente bella che è una disgrazia la bellezza, nam placuisse nocet, commenta il Pitagora ovidiano. Tutta adornata di bende, d'oro e delle messi che ha fatto crescere, la vittima assiste ignara al suo martirio con i coltelli che arrossano l'acqua, ma la stirpe umana sappia che sta mangiando le membra dei suoi coltivatori (v. 142).
Attingendo alle sue conoscenze iniziatiche, nei versi seguenti Pitagora espone la teoria della trasformazione di tutte le cose, perché nulla muore e lo spirito passa da un corpo all'altro, dall'umano all'animale o dal bestiale all'umano e mai perisce. A causa della trasmigrazione dell’anima non si deve esercitare la violenza, onde evitare che il sangue si nutra di sangue. Questo ragionamento sarà ripreso a conclusione della sua interpretazione del divenire di tutte le cose.
Tutto scorre e la forma di ogni fenomeno è fluttuante, cuncta fluunt omnisque vagans formatur imago (v. 178), il moto del tempo è inarrestabile come la corrente di un fiume, l'avvicendarsi delle stagioni è simile al succedersi delle quattro fasi dell'età umana, il tempo in compagnia dell'invidiosa vecchiaia divora e consuma tutto ciò che esiste. Quest'eterno divenire è dovuto al cambiamento incessante della forma dei quattro elementi basilari, terra, acqua, aria e fuoco. Il mutamento è anche causa o conseguenza del ribaltamento dei destini dei luoghi, sic totiens versa est fortuna locorum (v. 261). Infatti, osserva Pitagora, si possono trovare conchiglie in luoghi lontani dai mari e terreni aridi e sabbiosi laddove un tempo vi erano paludi. La cosa ancor più sorprendente, afferma il filosofo, è che le acque hanno il potere di cambiare non solo i corpi, ma anche gli animi. Il potere degli elementi è incontrastato sulla vita degli abitanti, che vanno incontro a fame follia distruzione. In realtà, però, la fine di qualcosa è l'inizio di qualcos'altro, poiché la conseguenza del cambiamento è la metamorfosi. Dalla decomposizione di un corpo altri esseri viventi vengono alla luce e questo è palese agli occhi di tutti (vv. 389-390). Taluni poi aggiungono il sensazionale al mondo fenomenico, come la nascita del serpente dalla spina dorsale del corpo umano putrefatto, mentre altri credono nell'origine divina della fenice che rinasce dalle sue ceneri. Di meraviglia in meraviglia Ovidio si serve della dottrina pitagorica per spiegare la nascita e la decadenza delle civiltà passate e preannunciare la grandezza di Roma. L'apoteosi della città eterna, le cui radici risalgono all'antica Troia, sarebbe un discorso improbabile da parte di un ellenico, in patria o in esilio, ma la contraddizione non sussiste, in quanto il filosofo aveva dichiarato di essere stato un troiano in una vita precedente. Ovidio esce dal campo minato dei versi encomiastici al potere augusteo, ponendo fine alle divagazioni con un monito solenne, che Pitagora lancia all'intera umanità: chi uccide un animale, uccide una parte di sé. Partendo dalla premessa che noi oltre ad essere corpo siamo anche anime volanti, il filosofo giunge a sostenere che l’umano può introdursi nel corpo di bestie selvagge o nascondersi in quello di animali domestici (vv 456-462). Di conseguenza dobbiamo rispettare i corpi dei nostri genitori fratelli o parenti che siano e rifiutarci di mangiare le pietanze degne di Tieste, che ignaro si cibò delle membra dei suoi figli. Non abbiamo il diritto di sgozzare capretti e vitellini innocenti come bambini, non abbiamo il diritto di tradire il bue o la pecora che si sono fidati di noi né ingannare con reti e con esche gli abitanti dell'aria e dell'acqua. Se può essere lecito eliminare un animale per legittima difesa, in nessun caso abbiamo ragione a mangiare la loro carne (vv. 463-478) L'alimentazione umana deve essere incruenta, altrimenti si diventa empi o criminali, perché tra sopprimere un animale e uccidere un uomo il passo è breve.


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