La
madre del vicesindaco
Il vicesindaco si
chiamava Bruno Bressi, ed era stato eletto nella lista comunista, capeggiata dall’architetto
Francesco Armogida, nelle elezioni comunali del 1948 a Sant’Andrea Ionio. L’architetto
Armogida, eletto sindaco, viveva a Roma, nemico professionale e politico del
famoso architetto Marcello Piacentini esponente di rilievo del Fascismo, e lasciava
la gestione degli affari correnti del Comune a Bruno Bressi: un galantuomo imponente
nell’aspetto, cappello, catena d’oro dell’orologio sul gilè e bastone.
All’epoca vigeva la
scomunica contro i comunisti, affissa alle porte delle chiese, decisa da Pio
XII contro chi votava, leggeva o anche diffondeva la stampa e l’ideologia comunista.
Lo stesso Pio XII, però, si era rifiutato di comminare la scomunica ai mafiosi,
nonostante gli fosse stata richiesta ripetutamente dai vescovi siciliani già a
partire dal 1944. Il papa, infatti, temeva il comunismo più della criminalità
organizzata, e utilizzava tutti i mezzi per combatterlo: per lo stesso motivo
non aveva scomunicato nemmeno il nazismo, nemico mortale del comunismo. In Italia
la mafia votava e faceva votare per la Democrazia Cristiana.
Ma torniamo, ora, a
Bruno Bressi che, quando era chiamato al telefono dal Prefetto di Catanzaro, si
alzava in piedi e si toglieva il cappello mentre rispondeva a Sua Eccellenza
con il massimo rispetto.
Un giorno venne a
morire la madre di Bruno Bressi, donna di chiesa e madre esemplare. All’epoca erano
sorte contestazioni tra l’arciprete don Andrea Samà e i neo comunisti che a
volte erano esclusi dai funerali religiosi.
Non c’era dubbio che i
funerali della madre di Bressi dovessero svolgersi in chiesa: le esequie avvennero
tutte in latino, come si usava allora. Un grave problema si pose, però, appena
fuori dalla Chiesa Matrice, quando la bara venne adagiata ai piedi della
gradinata per l’elogio funebre. Si trattava di un breve discorso che doveva enumerare
i meriti della defunta secondo uno schema in uso a Sant’Andrea e nel Meridione.
Bruno Bressi, in
qualità di vicesindaco comunista, si trovò in una difficile situazione al
momento finale dell’addio, quando il copione dell’elogio funebre prevedeva di
dire più o meno:
E
tu, o madre, va’ in paradiso e prega per noi che un giorno ti raggiungeremo!
Ammettere pubblicamente
l’esistenza del paradiso, significava dare ragione ai preti rinnegando la fede
comunista, materialista e atea. Non mandare la madre in paradiso, era peggio.
Il povero vicesindaco deve aver rimuginato parecchio cercando una soluzione, che
trovò e pronunciò nello stupore dei presenti:
E
tu, o madre, vai a godere per sempre nel paradiso terreste!
Questo fatto, al quale
io bambino non ero presente, mi fu raccontato dall’amico Bruno Lijoi.
Luglio 2014
Salvatore
Mongiardo
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