lunedì 5 aprile 2010

IL FRUTTO DEL CEDRO CALABRESE NEL CULTO E NELLA CULTURA EBRAICA


Da qualche tempo mi ero posto il problema di come l’Italia era vista e conosciuta nel mondo ebraico prima di Cristo. Questo mio interesse era stimolato dall’aver letto in Giuseppe Flavio che gli Esseni seguivano la dottrina insegnata ai greci da Pitagora che ebbe scuola a Crotone. La recente affermazione di Benedetto XVI che Gesù seguiva la dottrina essenica, fatto ormai condiviso da tutti gli studiosi, mi ha spinto a esplorare meglio la conoscenza che gli ebrei avevano dell’Italia nell’antichità. Ho ripreso così la storia del cedro calabrese, alla quale avevo accennato già nel mio Viaggio a Gerusalemme del 2002.

Il cedro della Calabria è tenuto in grande considerazione dagli ebrei della corrente Lubavitch, città della Bielorussia oggi Ucraina, dove nel Millesettecento nacque il grande Movimento Chassidico dell’ebraismo, adesso seguito dagli ebrei che portano barba, cappello nero e camicia bianca, e hanno il centro più importante a Brooklyn, N.Y.

Le notizie sul cedro calabrese si trovano nel secondo volume del TANYA, opera filosofica del gran rabbino Schneur Zalman di Liadi (1745-1812), e nel commento alla Bibbia di Rashi, o Rabbi Shlomo Yitzhaqi (1040-1105), uno dei più famosi commentatori medievali che visse in Francia intorno al Millecento.

Come sappiamo dalla Genesi, Isacco sposò Rebecca ed ebbe due gemelli, Esaù e Giacobbe. Esaù era il primogenito, ma la benedizione fu data a Giacobbe. Isacco allora per riparare il torto, fece a Esaù una grande promessa:

Nel grasso della terra sarà il tuo luogo di residenza.

Il grasso della terra, o terra fertile perché produce olio di oliva, era l’Italia della Grecia, come veniva chiamata dagli ebrei l’Italia Meridionale o Magna Grecia.

La tradizione riportata dal rabbino chassidico Y.Y. Schneerson, vuole che quando Mosè era nel deserto con il popolo fuggito dall’Egitto, ricevette da Dio l’ordine di celebrare la festa delle Capanne o Sukot. Per quella festa era indispensabile il frutto del cedro che Mosè ovviamente non poteva trovare nel deserto, e allora mandò dei messaggeri su una nuvola a prenderlo in Calabria.

Anche se non si hanno prove certe, è ragionevole supporre che già ai tempi degli antichi romani il cedro fosse preso in Calabria. Sicuramente negli ultimi 250 anni gli ebrei Lubavitch l’hanno cercato a Santa Maria del Cedro e a Marcellina, in provincia di Cosenza. Questo è avvenuto anche durante la prima e la seconda guerra mondiale, nonostante tutti gli sconvolgimenti.

Nella festa delle Capanne si usano per la benedizione:

1. il frutto del cedro che ha gusto e profumo

2. la palma da dattero che ha gusto ma non profumo

3. il mirto che non ha gusto ma ha profumo

4. il salice che non ha né gusto né profumo.

Il gusto simboleggia lo studio della Torà, i primi cinque libri della Bibbia conosciuti anche come Pentateuco; il profumo è l’osservanza dei Mitzvot o Comandamenti. Le quattro piante assieme simboleggiano l’unità del popolo ebraico di cui ogni membro è parte vitale.

Il cedro è un frutto definito haddar, splendido, parola che significa anche risiedere. Secondo gli ebrei l’albero del cedro non era facile da crescere perché le radici vanno in orizzontale e, con il caldo, l’albero poteva morire. Allora bisognava mettere della terra facendo una montagnetta attorno al fusto. Il limone invece ha radici che vanno in profondità per cui era facile la tentazione di innestare il cedro su un limone, ma allora la purezza originaria del cedro non era totale e il frutto non era più kosher, puro, come si è mantenuto sempre quello calabrese.

Il cedro che si sceglie per la festa non deve essere molto grande, perché i frutti grandi non sono quasi mai perfetti: hanno qualche macchia o puntino nero. Dopo la festa oggi il frutto non è mangiato, e qualcuno ne fa marmellata.

Nel Midrash, il commento rabbinico alla Bibbia che mette in luce gli insegnamenti giuridici e morali utilizzando diversi generi letterari come racconti, parabole e leggende, l’albero della conoscenza dell’Eden non era il melo, ma proprio il cedro. Quest’unicità del cedro viene confermata dal fatto che è l’unico albero che ha lo stesso gusto sia nel legno della pianta che nel frutto.

C’è anche da notare che in ebraico Italia significa terra della rugiada, quindi non solo terra grassa ma anche irrorata d’acqua: un sogno per gente che vagava nel deserto.

Ringrazio per queste informazioni, qui riportate in forma necessariamente semplificata, il rabbino Michail Elmalèh di Milano.

Salvatore Mongiardo

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