mercoledì 27 ottobre 2010

ETICA PITAGORICA

Gentili Signore e Signori, Signori Medici,
         
          il vostro incontro di Internisti della Magna Grecia mi da lo spunto per rivisitare assieme a voi le origini, i luoghi e i tempi della nascita di quella che per ammirazione nel mondo antico fu chiamata Megale Ellas o Magna Grecia nella dizione latina. Nel capitolo 29 della Vita Pitagorica di Giamblico è scritto, con riferimento alla scuola di Crotone e a Pitagora:
In virtù di queste pratiche di vita accadde che tutta l’Italia si riempì di filosofi; e mentre prima quella regione non aveva goduto di nessuna considerazione, più tardi grazie a Pitagora ricevette il nome di Magna Grecia e vi nacquero in gran numero filosofi, poeti e legislatori. Le arti della retorica, l’oratoria e la legislazione scritta passarono da lì in Grecia…
Quegli avvenimenti sono confermati da Porfirio, al capitolo 20 della sua Vita di Pitagora dove scrive:
Le città dell’Italia e della Sicilia che nel corso dei suoi viaggi trovò asservite le une dalle altre, alcune da molti anni, altre recentemente, egli le liberò infondendo loro pieni sentimenti di libertà con l’aiuto dei discepoli che aveva in ciascuna di esse: Crotone, Sibari, Catania, Reggio, Imera, Agrigento, Tauromenio ed alcune altre…
         
Questi due passi sono importanti perché ci ricordano che la Magna Grecia nacque qui, a Crotone, unicamente dall’insegnamento pitagorico, non dalla ricchezza delle città o dalla floridità dei commerci. Il nome di grande, magna, nacque per indicare l’altezza di speculazione unito allo stile di vita pitagorico. Difatti a quell’epoca la filosofia era concepita non come astratto insegnamento, ma come una scelta di vita in accordo con la speculazione filosofica. Si diceva che far parte di una scuola filosofica era una airesis tou biou: la parola eresia indicava allora una libera e legittima scelta dell’individuo, senza il significato negativo che l’apologetica cristiana avrebbe elaborato in seguito.

Il destino della storia volle che la Magna Grecia nascesse in quella parte dell’attuale Calabria compresa tra il Golfo di Lamezia e quello di Squillace, dove nacque l’Italia ad opera del re Italo, che la fondò sull’amicizia e la condivisione dei mezzi di sussistenza, i famosi sissizi o banchetti comuni, come ripetutamente ci ricorda Aristotele nella sua Politica, libro VII, capitolo 10. Da Crotone, dove la Magna Grecia nacque, il nome si estese a indicare in seguito tutto il Meridione d’Italia da Napoli alla Sicilia.
Se guardiamo ai principi che ispiravano la condotta di vita dei pitagorici, vediamo che, rispetto al nostro mondo, essi sono in tutto e per tutto l’opposto. In altre parole, il mondo attuale e i suoi valori sono esattamente antipitagorici. Si potrebbe anche aggiungere che tutti i nostri mali erano stati previsti da Pitagora. Anzi possiamo immaginare che, se Pitagora guardasse al nostro mondo che va così male, con un sorriso di superiorità commenterebbe: Come volevasi dimostrare.
Vediamo allora in dettaglio quali erano i principi etici dettati da Pitagora e in gran parte confluiti poi nel cristianesimo tramite la mediazione culturale degli esseni, che erano pitagorici come è chiaramente affermato dallo storico Giuseppe Flavio nelle Antichità Giudaiche (XV, 371). Ma non posso dilungarmi su questo argomento oggi. Sulle origini pitagoriche di Gesù in quanto esseno domani terrò una conferenza alla Libreria Mondadori di Crotone.
Vediamo in dettaglio i sette capisaldi dell’etica pitagorica:
1.    i beni devono essere in comune
2.    la vittoria sporca l’uomo
3.    rifiuto del successo e della gloria
4.    astinenza dal sesso
5.    vita sobria di comunità in posti solitari
6.    vegetarianesimo
7.    amicizia universale

          1. La comunione dei beni, praticata anche dai primi cristiani e poi dimenticata, era la conditio sine qua non per far parte della cerchia dei pitagorici, i quali dovevano mettere tutti i loro beni a disposizione della comunità, salvo poi riprenderli in caso di abbandono. Tanto per fare un raffronto con l’Italia di oggi, il debito pubblico dell’Italia verrebbe automaticamente azzerato dai risparmi degli italiani che all’incirca ammontano alla stessa cifra.

          2. La vittoria che sporca il vincitore è originale del pitagorismo ed era spiegata con la separazione del vincitore dai vinti che diventava così soggetto d’invidia. La vittoria aveva un suo carico perverso, indegno di una persona per bene. I pitagorici potevano gareggiare per gioco, ma senza un vincitore, tanto che era proibito loro perfino assistere ai giochi olimpici dove si coronavano vincitori a scapito del perdente. In questo senso andrebbe interpretata l’espressione, conosciuta da noi tutti, che ai giochi è importante partecipare, non vincere.

          3. Il rifiuto del successo e della gloria si giustificava perché il pitagorico doveva impiegare le sue migliori energie in una conquista personale per le cose nobili e belle, come la conoscenza del firmamento, l’unione al Dio, lo studio, l’apprendimento delle dottrine arcane e delle scienze. La ricerca del successo e della gloria erano fuorvianti e distoglievano da questi obiettivi considerati il vero scopo della vita. Oggi prevalgono le culture anglosassoni per le quali vincere, essere il primo, avere successo è tutto e anche più di tutto.

          4. L’astinenza dal sesso, salvo la procreazione, era molto rigida e come tale passerà nel cristianesimo. Era un piacere ammaliatore e omicida, come il canto delle Sirene, che induceva a distrazioni e tradimenti alimentati da fantasie morbose che consumavano l’individuo nell’interno della sua mente. E’ rimasta celebre l’espressione ironica, riportata da Diogene Laerzio, che Pitagora usava quando qualcuno dei suoi allievi gli chiedeva il permesso di lasciare la scuola per unirsi a una donna: Uno si accoppia quando vuole essere più debole di se stesso.
Le visite ai siti porno fatte giornalmente tramite internet vengono calcolate in centinaia di milioni in tutto il mondo. Sembrano proprio il canto ammaliatore e omicida delle Sirene che divorano le migliori energie dell’individuo.

          5. La vita dei pitagorici doveva svolgersi lontana dalle grandi città, come facevano anche gli esseni e come fecero in seguito i monaci nei monasteri, per non essere distratti e turbati dagli avvenimenti della vita reale. Era soprattutto bandita la mollezza dei costumi e il lusso: la vita si svolgeva sobriamente e con grande forza d’animo. Una prova di carattere raccomandata ai pitagorici consisteva nel preparare un lauto banchetto e poi andare via senza assaggiare nulla! Oggi predomina a livello planetario la creazione di megalopoli con diecine di migliaia di abitanti e stili di vita massificati. La vita in comune delle comunità eliminava alla radice quello che oggi è forse il maggiore dei mali: la solitudine dell’individuo, abbandonato dalla famiglia soprattutto nella parte finale della vita, qualcosa di inconcepibile per i pitagorici, i quali accorrevano dai loro sodali ammalati e li assistevano curandoli fino alla morte.

          6. La proibizione di nutrirsi di animali, sia carne che pesci, era giustificata da Pitagora perché l’animale aveva in comune con l’uomo lo stesso spirito di vita: l’uomo era fratello maggiore dell’animale al quale doveva rispetto e aiuto. Pitagora sosteneva che mai si sarebbe potuto uccidere un uomo se non si uccideva l’animale. Quindi, il cibarsi di carni era la porta dalla quale entrava la violenza nell’uomo e nella società. In questo senso l’offerta pitagorica agli dèi consisteva in focacce di farina e miele, spesso a forma di animale, come nel caso del bue di pane che Pitagora stesso offrì quando scoprì il suo famoso teorema. I pitagorici, che in bianche vesti di lino facevano offerte incruente, sfidavano i templi di Grecia e Magna Grecia con i loro sacrifici cruenti, esattamente come fece Gesù con il Tempio di Gerusalemme. Recentemente il Prof. U. Veronesi, noto vegetariano, ha riconfermato che l’abbandono della zootecnia e la conversione delle colture a grano sarebbe duecento volte più efficiente nel produrre cibo.

          7. L’insegnamento di Pitagora sull’amicizia universale è meravigliosamente descritto nel capitolo 33 di Giamblico:
la filìa era l’amicizia degli dèi verso gli uomini tramite la pietà e il culto. Amicizia dell’anima per il corpo e della ragione per le facoltà irrazionali grazie alla filosofia e alla sua contemplazione speculativa. Amicizia degli uomini l’uno per l’altro: fra i cittadini tramite la retta osservanza delle leggi; fra gli stranieri, tramite l’esatta scienza della natura umana; dell’uomo per la moglie, i figli, i fratelli e i parenti in virtù di un incorruttibile sentimento di comunanza. Amicizia insomma di tutti per tutti, persino verso gli animali. Amicizia del corpo mortale con se stesso, pacificazione e conciliazione delle contrastanti forze latenti in esso tramite la buona salute, il regime di vita adatto e alla temperanza.

Una sola e sempre la medesima parola, filìa, questa benevolenza reciproca, che fa in modo che tutti i galantuomini del mondo siano amici anche prima di conoscersi. Oggi siamo lontani anni luce con tutte le forme di razzismo, chiusura culturale a migranti, terzo e quarto mondo.

Conclusione
          Ho il piacere di potervi omaggiare di questo piccolo mio libricino dal titolo PERCHE’ LA VIOLENZA, disponibile anche in inglese sul mio sito. Questo scritto prende origine da una riflessione che ho voluto fare sulle profonde e complicate origini della violenza umana, la vera grande malattia dell’umanità della quale nessuno è mai venuto a capo. La lettura di tutte le paginette non prende più di un’ora, e io vi chiedo di dedicare questo tempo per una serena riflessione sul perché della violenza, di come si può analizzare e capire per poterne uscire.
Anche in questo scritto la figura di Pitagora emerge chiaramente dalle brume della storia e ammonisce che l’uscita dalla violenza è possibile se si guarda alla vita e ai suoi problemi con audacia e benevolenza: Pitagora iniziò la sua straordinaria avventura umana prendendo le difese di un cane bastonato.
Quello che ieri era impossibile oggi è diventato possibile con l’impegno, lo studio e l’impiego delle risorse necessarie: pensiamo al volo umano, uno dei grandi sogni dell’umanità, oggi finalmente realizzato.
Il libricino si chiude con la proposta per la creazione di un’università planetaria, dove si radunino le migliori menti per lo studio e la decifrazione dei meccanismi che generano violenza e morte. Oggi non esiste una sola facoltà in nessuna parte del mondo che si occupi della violenza. Questa terra, la nostra terra, fu la Magna Grecia e al sol pensiero si accresce in ognuno di noi la frustrazione e il disincanto per la decadenza e la miseria del presente. Eppure io sono convinto che una grande civiltà può rinascere dove è già nata, e in questo senso il Meridione è il posto prediletto dalla storia. Sembra un sogno, ma è proprio un grande sogno che serve all’umanità per uscire dall’incubo del presente.
Voi siete medici, e come tali siete la classe più influente di tutto il Meridione il quale soffre non tanto per problemi di politica, ma di perdita di cultura, di distacco dalle proprie nobili origini. Io credo che noi dobbiamo riprendere la capacità di sognare, la grande utopia, quel filo di Arianna che unisce Italo a Pitagora, Gioacchino da Fiore a San Francesco di Paola, Campanella a Giordano Bruno. Questa sogno ininterrotto è la filosofia perenne che scorre nelle nostre vene. Noi dobbiamo ascoltare il nostro profondo cuore magnogreco per realizzare il sogno dei sogni, la fine della violenza. Vi chiedo perciò di riflettere e vi ripropongo caldamente l’apertura della Nuova Scuola Pitagorica qui, a Crotone, come ho già avuto occasione di dire un mese fa, per raccogliere l’eredità dell’antica scuola e segnare la fine della violenza.

Crotone, 29 ottobre 2010                                                           Salvatore Mongiardo

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