Scrivo questo racconto come cartolina di auguri e lo dedico particolarmente agli Amici del Sissizio, che dal 1995 mi hanno fatto compagnia in questa bella avventura. Quando, nel sissizio dell’agosto 2009, il professor Vincenzo Squillacioti è arrivato madido di sudore con il Bue di Pane, la signora Franca Carnuccio esclamò: A vaccarerha e pana! La vacchetta di pane! Scoprimmo così che a Badolato, con la prima infornata di pane fatto col grano nuovo, le donne facevano una vacchetta di pane che davano ai bimbi. Questa scoperta ci riporta indietro di venticinque secoli all’offerta del Bue di Pane fatta da Pitagora, uso sopravvissuto miracolosamente a Badolato fin quando noi, senza saperlo, l’abbiamo ripreso.
In seguito, riflettendo a come Badolato mi aveva fatto scoprire la vacchetta di pane, mi sono ricordato di quest’altra storia che mio padre raccontava.
Era il 1922 quando mio nonno Salvatore, il fabbro, morì lasciando la moglie e otto figli piccoli. Mio nonno morì per una polmonite contratta nella prima guerra mondiale sul Monte Grappa. Non era voluto andare all’ospedale di Catanzaro per farsi riconoscere la malattia, la famiglia rimase perciò senza pensione e mio padre dovette imparare in fretta il mestiere di fabbro. Un giorno arrivò un uomo che gli chiese una grata di ferro per la finestra. Mio padre non la sapeva fare perché la grata, in Calabria, ha il segreto che consiste nel rendere impossibile sfilare le sbarre di ferro da sopra o da sotto o da destra o da sinistra.
Mio padre pensò di rivolgersi a mastro Pietro, intagliatore e falegname ma figlio di un fabbro che gli aveva tramandato il segreto. Mastro Pietro però giudicò che mio padre era troppo giovane, quattordici anni appena, e gli disse che glielo avrebbe spiegato quando sarebbe cresciuto. Per adesso lo avrebbe aiutato montando lui stesso la grata: mio padre, mastro Vincenzino, come cominciavano a chiamarlo i clienti, doveva portargli le sbarre di ferro dopo aver fatto i fori che lui gli indicava.
Con questi pensieri in testa mio padre, che suonava la tromba, si avviò a piedi assieme agli altri musicanti per il viottolo che portava da Sant’Andrea a Badolato, dove dovevano suonare per una festa. A Badolato i bandisti passarono la notte alloggiati dalle famiglie; a mio padre toccò una famiglia numerosa dove c’erano ventisei letti e gli fu dato un letto nel mezzanino che aveva una finestra con la grata. Stanco del viaggio prese subito sonno, ma di notte si svegliò, guardò alla finestra e vide la luna attraverso la grata. Notò allora che ogni sbarra di ferro trapassava un’altra sbarra ma era trapassata da un’altra ancora incrociandosi. C’era solo un riquadro tra le sbarre, quello del segreto, che permetteva di assemblare le sbarre verso il centro. Mio padre, appena tornato a Sant’Andrea, scaldò le sbarre di ferro, le bucò, unì la grata e la portò a mastro Pietro che la guardò ed esclamò: Mi devi dire chi ti ha svelato il segreto! Mio padre rispose: La luna di Badolato!
Buon Natale e Felice 2010
Salvatore Mongiardo
lunedì 21 dicembre 2009
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